lotta alla corruzione e codice degli appalti

Il nuovo codice degli appalti.  La lotta alla corruzione: cambiare (apparentemente) tutto per non cambiare niente.

Nelle scorse settimane abbiamo presentato il decreto legislativo n.50/2016, nel quale l’Autorità Nazionale anti corruzione ricopre un ruolo centrale con diverse e molteplici funzioni.

Anche per questo, il nuovo Codice Appalti è stato presentato come una riforma “che chiude le strade alla corruzione“.
Ma è così, oppure le pubblicizzate nuove norme poco o nulla cambiano, nella sostanza, rispetto al sistema precedente?

Analizziamo il contenuto e i probabili effetti delle novella legislativa:
a) in primo luogo, si registra la sostanziale sopravvivenza delle gare al massimo ribasso, che – secondo il progetto iniziale – dovevano essere superate. Infatti, l’articolo 95 d. lgs. n.50/16 prevede che si possa ancora usare il criterio del minor prezzo per i lavori di importo fino a un milione di euro, ovvero nella maggioranza dei casi: circa 7-8 appalti su 10;

b) Nelle procedure di appalto con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la valutazione sulla proposta migliore è affidata a una commissione giudicatrice composta da esperti del settore. Per garantire la massima trasparenza in questo processo, i commissari saranno estratti a sorte da un apposito Albo istituito e gestito dall’Anac. Ma questa regola vale solo per le gare con importi che superano le soglie comunitarie, vale a dire i 5,2 milioni di euro.
Se non si supera questa cifra, o se gli appalti “non presentano particolare complessità”, tutto rimarrà come nella previgente disciplina, in quanto la stazione appaltante potrà nominare componenti interni alla stazione appaltante, nel rispetto del principio di rotazione (v. art. 77 d.lgs. n.50/2016). Insomma, i commissari saranno scelti dallo stesso ente che assegna l’appalto. Il risultato è quello che, nella pratica, il 95 per cento degli appalti verrà assegnato esattamente come prima.
E attenzione, una buona parte delle situazioni di corruzione si verificano nelle gare ad offerta economicamente più vantaggiosa, nelle quali la discrezionalità della commissione è massima.

Non a caso, lo stesso Raffaele Cantone – a riguardo – aveva affermato che: “tale previsione sembra non essere del tutto rispettosa del criterio di delega che, nell’obiettivo della garanzia della massima trasparenza nelle nomine dei commissari non distingue, per la nomina dei commissari, tra appalti di valore superiore ed inferiore alle soglie. Inoltre il riferimento troppo generico agli appalti di non particolare complessità sembra consentire una ulteriore troppo ampia possibilità di derogare al principio”.

c) nel testo definitivo del codice sono state estromesse le norme sulla trasparenza delle gare: resta in vigore la procedura negoziata senza bando, nelle gare con importi al di sotto di un milione di euro, mentre nella bozza di riforma si voleva abbassare la soglia a 500 mila euro;

d) l’Anac che dovrebbe condurre la battaglia per garantire la trasparenza negli affidamenti di lavori pubblici, avrà armi limitate e una competenza di nicchia: infatti, i suoi esperti vigileranno solo su una piccola parte degli appalti, appena il 5%;

e) infine, il nuovo codice poco o nulla incide nella gestione esecutiva dei lavori. E, si badi bene, la corruzione e le infiltrazioni mafiose spesso si  manifestano proprio nella fase esecutiva del contratto.

Alla luce di tali considerazioni, ci saremmo aspettati una riforma più coraggiosa e determinata per contrastare una piaga che “condanna” l’Italia al 61° posto (a pari merito con Montenegro, Lesotho, Senegal e Sudafrica) su 168 paesi del mondo, penultimo fra i paesi dell’Unione Europea (dietro abbiamo solo la Bulgaria).

La corruzione è e rimane, purtroppo, un male endemico in Italia che ha un costo calcolato dagli esperti in alcune decine di miliardi di euro l’anno.

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