La Tosap, la potestà regolamentare dei comuni
1. Tosap, la definizione.
La Tosap (tassa per l’occupazione del suolo pubblico) è la tassa dovuta quando un soggetto occupa un’area che appartiene al territorio di un ente locale (come strade, piazze, parchi ect.); ha il suo fondamento nella limitazione che, per la collettività, comporta il ridotto godimento dello spazio pubblico occupato.
I presupposti per l’applicazione della Tosap sono due:
– l’occupazione di uno spazio, anche sovrastante o sottostante, appartenente al patrimonio indisponibile del Comune o di altro ente;
– il vantaggio economico che dall’occupazione deriva.
Il Comune cui la Tosap è dovuta può disporre che la stessa sia sostituita da un canone (c.d. Cosap), avente requisiti analoghi a quelli della tassa e simili modalità di pagamento.
Se la durata di occupazione è più di un anno è una tassa di tipologia permanente, altrimenti temporanea.
2. La direttiva Bolkestein, l’assegnazione di aree pubbliche e le concessioni temporanee.
In attuazione della direttiva Bolkestein (relativa ai servizi nel mercato interno), la Conferenza unificata Stato-Regioni del 16.7.2015, ha determinato i criteri da applicare alle procedure di selezione per l’assegnazione di aree pubbliche ai fini dell’esercizio di attività artigianali, di somministrazione di alimenti e bevande e di rivendita di quotidiani e periodici. In base a tale intesa tutte le concessioni in essere scadranno irrimediabilmente la primavera-estate del 2017 con la necessità, pertanto, per i comuni di dare avvio alle procedure per i bandi.
Resta però il fatto che le concessioni non avranno più durata illimitata e (una volta raggiunta la dead line dell’estete 2017) non potrà esservi alcun ulteriore rinnovo automatico o tacito, dunque l’amministrazione comunale, dovrà “mettere a bando” i posteggi dei vari mercati.
3. Dehors in centro storico. Il comune vieta le concessioni permanenti.
La normativa nazionale di riferimento (si tratta dei decreti legislativi nn. 507 del 1993 e 446 del 1997, disciplinanti in parte qua la complessiva materia della fiscalità locale) contemplano in via generale sia le occupazioni di carattere temporaneo, sia quelle di carattere permanente, ma non impongono certo agli enti locali di consentire sempre e comunque entrambe le tipologie di occupazione.
L’individuazione dei presupposti e delle tipologie di imposta è demandata al Legislatore nazionale; d’altra parte, però, il fatto che esso abbia previsto alcune tipologie di presupposti non vincola in assoluto l’ente locale a contemplarli sempre e comunque. Infatti grava sui comuni solo un vincolo (in negativo) a non disciplinare tali presupposti e tipologie in modo difforme da quello previsto al livello nazionale, ma non anche un vincolo (in positivo) a contemplare sempre e comunque le fattispecie astrattamente previste dallo stesso Legislatore nazionale.
Se così non fosse, tra l’altro, si determinerebbe un’evidente alterazione del bilanciamento sancito al livello costituzionale fra: i) da un lato, l’autonomia finanziaria, di spesa e regolamentare riconosciuta agli enti locali e ii) dall’altro, il limite esterno all’esercizio di tale autonomia rappresentato dal rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica fissati dal Legislatore nazionale (depone univocamente in tal senso il richiamato secondo comma dell’articolo 119 della Costituzione, secondo cui “i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario“).
Risulta certamente compatibile con il quadro sistematico appena richiamato il comma 1 dell’articolo 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997 il quale, nel disciplinare in via generale la potestà regolamentare demandata agli enti locali in tema di fiscalità locale, stabilisce che “le province ed i comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti. Per quanto non regolamentato si applicano le disposizioni di legge vigenti“.
Sulla base dei suesposti ragionamenti, una recente sentenza della Consiglio di Stato (n. 3857 del 13.09.2016) ha ritenuto legittima la scelta di un Comune che ha previsto per il centro storico solo la possibilità di procedere ad occupazioni temporanee (in quanto non eccedente i limiti della propria potestà regolamentare).
“Il Comune appellato non ha introdotto una (non ammissibile) definizione di ‘occupazione temporanea’ destinata ad operare soltanto nel suo territorio (il che avrebbe davvero concretato una violazione delle richiamate disposizioni primarie), ma si è più semplicemente limitato a stabilire che nel suo centro storico le occupazioni attraverso strutture esterne e pedane non possano avere carattere permanente.
Il che rappresenta una legittima opzione regolatoria che non incide in alcun modo sull’individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, le quali restano riservate ai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997 alla potestà legislativa statale”.
Inoltre, non può essere condiviso il motivo con cui si è lamentato che la scelta volta ad escludere le occupazioni di carattere permanente nell’ambito del centro storico comunale non rinverrebbe una adeguata giustificazione nell’affermata finalità di preservare il patrimonio culturale locale.
Si osserva al riguardo che, in base a principi più che consolidati, le scelte regolatorie operate dagli enti locali sono caratterizzate dalla spendita di una lata discrezionalità amministrativa, ragione per cui esse possono costituire oggetto di censura in sede giurisdizionale soltanto nei casi (che qui non si ravvisano) in cui le stesse risultino affette da evidenti profili di irragionevolezza o abnormità.
Infine, e per ragioni del tutto connesse a quelle sin qui svolte, non può essere accolta la terza doglianza del ricorrente che ha lamentato la violazione e mancata applicazione delle previsioni di cui all’articolo 20 della l. 7 agosto 1990, n. 241 in tema di silenzio-assenso.
“Al riguardo ci si limita ad osservare (in senso contrario a quanto sostenuto dall’appellante) che le previsioni in tema di silenzio-assenso non sono in radice invocabili per la tipologia di provvedimento all’origine dei fatti di causa.
È qui appena il caso di richiamare il comma 4 dell’articolo 20, cit.(nella formulazione ratione temporis rilevante), secondo cui “le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico [e] l’ambiente (…)”. Si tratta di ambiti oggettuali cui (per le ragioni dinanzi richiamate) è certamente riconducibile il complesso di valori sottesi alla particolare disciplina regolamentare riferita al centro storico cittadino”.