Rinnovazione istruzione dibattimentale

rinnovazione istruzione dibattimentale in appello

1) principi generali

La rinnovazione della istruzione dibattimentale in appello è un istituto finalizzato all’integrazione parziale o totale del compendio probatorio su cui si è incentrato il giudizio di primo grado.
Va rilevato, preliminarmente, che nel giudizio di appello vige la presunzione di completezza della prova formatasi nel corso dell’istruzione dibattimentale, circostanza che da sempre costituisce un naturale sbarramento alla rinnovazione, ex art. 603 c.p.p.
In particolare, il nostro ordinamento giuridico riconosce due distinte situazioni processuali attraverso cui le parti possono revocare in dubbio la presunzione di completezza della prova.
Alle parti, infatti, è consentito chiedere nell’atto di appello o nei motivi nuovi (presentati a norma dell’art. 585 comma 4 c.p.p.) l’assunzione di prove negate o non richieste nel corso del primo grado o la riassunzione di prove già acquisite. Il giudice in questi casi potrà decidere di disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ove ritenga di non poter decidere allo stato degli atti (art. 603 comma 1 c.p.p.).
In alternativa, le parti possono chiedere l’assunzione di prove sopravvenute al giudizio di primo grado o, comunque, da esse scoperte solo successivamente. In questo caso il giudice può disporre la rinnovazione solo entro i limiti di cui all’articolo 495 comma 1 ovvero solo qualora si tratti di prove non vietate dalla legge né manifestamente superflue o irrilevanti (art. 603 comma 2 c.p.p.). Non esistono preclusioni temporali alla deduzione delle nuove prove né vincoli alla loro ammissione, che non siano quelli generali di cui all’art. 495 c.p.p. Si impone, però, una precisazione con riguardo alla categoria delle prove nuove. In particolare, va ricordato quanto stabilito dalla Cassazione, secondo cui il carattere della novità della prova è riscontrabile sia quando la stessa sopraggiunga autonomamente, sia quando venga reperita dopo l’espletamento di un’opera di ricerca che dia risultati in un momento successivo alla decisione.
Va sottolineato come la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di secondo grado sia regolata diversamente dai primi due commi dell’art. 603 c.p.p. e come diverso sia il regime processuale cui è soggetta la richiesta di rinnovazione a seconda che si tratti di assumere prove in precedenza esistenti o prove sopravvenute successivamente. Infatti, il primo comma dell’art. 603 c.p.p. prevede che la rinnovazione sia disposta eccezionalmente; mentre il secondo comma prevede che essa sia sempre disposta dal giudice, con i limiti suddetti, in conseguenza di una riespansione del diritto alla prova (Cass. Sez. III, Sent. n. 15248/2015 sulla rinnovazione istruzione dibattimentale).
La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale può essere disposta altresì d’ufficio, se il giudice la ritiene assolutamente necessaria (art. 603 comma 3 c.p.p.).
La rinnovazione viene disposta dal giudice con ordinanza, in contraddittorio tra le parti. Ad essa di norma si procede immediatamente nel corso del dibattimento, fermo restando che in caso d’impossibilità lo stesso può essere sospeso per un termine non superiore a dieci giorni.
Premesso ciò, bisogna soffermarsi sul potere di ammissione probatoria del giudice d’appello in ordine alla richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, sotto i diversi profili della valutazione e dell’obbligo di motivazione dello stesso.
Va innanzi tutto premesso che la rinnovazione non può sanare decadenze o irritualità verificatesi nel corso dell’ammissione probatoria articolatasi in primo grado.
Una volta chiarita tale circostanza va rilevato che, nella sua concezione originaria, l’istituto della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale aveva natura eccezionale, ma in seguito a numerose pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo (a partire dalla sentenza Dan contro Moldavia, III Sez., 5 luglio 2011), la fisionomia di tale istituto è stata “ridisegnata”. Infatti, la sentenza sopra citata, ha sancito il rispetto del principio di immediatezza e oralità nella rinnovazione integrale delle prove anche nel giudizio di secondo grado, il quale non deve rappresentare più un mero strumento di controllo, prevalentemente cartolare, sulla motivazione adottata dal primo giudicante. Tale principio è diventato un orientamento consolidato del giudice sovranazionale e, dunque, in ambito C.e.d.u., un principio cardine in base al quale deve ritenersi non ammissibile una decisione di grado superiore che riformi in peius la sentenza assolutoria emessa in primo o secondo grado, qualora tale riforma consegua ad una diversa valutazione delle prove orali ritenute decisive, senza procedere ad un nuovo esame dei testi in sede di gravame.
Orbene, la Corte di Cassazione, recependo i dettami della Corte Europea, ha affermato che il giudice d’appello, ha, dunque, l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale ed escutere nuovamente i dichiaranti, qualora detto giudice valuti diversamente la loro attendibilità, rispetto a quanto ritenuto nel giudizio di primo grado (obbligo sancito dall’art. 6 CEDU sul diritto ad un equo processo, così come interpretato dalla sentenza della Corte EDU del 5 luglio 2011, nel caso Dan c. Moldavia) e decida di procedere alla reformatio in peius della sentenza assolutoria emessa dal primo giudicante, anche in caso di sentenza assolutoria emessa a seguito di giudizio abbreviato condizionato (Cass. Sez. III, Sent. n. 11658/2015 su rinnovazione istruzione dibattimentale). La Suprema Corte, ha, però, precisato che il giudice d’appello non incorre in tale obbligo di rinnovazione, qualora approdi, in base al proprio libero convincimento, ad una valutazione di colpevolezza attraverso una rilettura degli esiti della prova dichiarativa (di cui non ponga in discussione il contenuto o l’attendibilità), valorizzando gli elementi eventualmente trascurati dal primo giudice, ovvero evidenziando gli eventuali travisamenti in cui quest’ultimo sia incorso nel valutare le dichiarazioni” (Cass. Sez. II, Sent. n. 41736/2015 su rinnovazione istruzione dibattimentale).
Alla luce di quanto premesso risulta ridimensionata la discrezionalità del giudice di appello, che inizialmente appare molto ampia, anche grazie alla presunzione di completezza dell’istruzione di primo grado. Infatti, la valutazione delle richieste e la relativa motivazione sono soggette ad un vero e proprio obbligo definito dalla Cassazione come un potere-dovere del giudice d’appello di verificare la completezza della prova raggiunta in primo grado, onde evitare che l’accertamento della verità sia impedito dalla mancata assunzione di una prova ignorata nel corso del dibattimento.
Il mancato accoglimento della richiesta volta ad ottenere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, dunque, può essere censurato in sede di legittimità se risulti dimostrata, l’oggettiva necessità dell’adempimento in questione e, quindi, l’erroneità di quanto esplicitamente o implicitamente ritenuto dal giudice di merito circa la possibilità di decidere allo stato degli atti. Ciò significa che deve dimostrarsi l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto alla base della sentenza impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora si fosse provveduto, come richiesto, all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in sede di appello.
L’individuazione di un vizio di legittimità nel provvedimento di rigetto della richiesta di rinnovazione che non abbia adeguatamente motivato sul punto rafforza la connotazione dell’istituto in termini di vero e proprio diritto dell’imputato, ridimensionando la portata reale della presunzione di completezza dell’istruzione di primo grado.
Per quanto riguarda il giudizio di ammissibilità della prova richiesta dalle parti, resta ferma, comunque, la necessità di operare una distinzione a seconda che si tratti delle categorie previste dall’art. 603 c.p.p., comma primo, oppure delle prove sopravvenute o scoperte, disciplinate dal comma successivo.
Infatti, nel caso di riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado, ovvero di assunzione di prove nuove, l’iniziativa probatoria delle parti incontra un limite nel giudizio di ammissibilità allo stato degli atti, fermo restando che sussiste un’impossibilità di decidere allo stato degli atti quando i dati probatori già acquisiti siano contraddittori o obiettivamente incerti o quando l’ammissione delle prove richieste abbia un carattere di decisività, nel senso che possa eliminare le eventuali suddette contraddizioni o incertezze oppure sia oggettivamente atta ad inficiare ogni altra risultanza.
Invece, con riferimento alle prove sopravvenute o scoperte, al giudice viene richiesto un vaglio analogo a quello demandato al giudice di prime cure dagli art. 190, 190 bis, 495 c.p.p., i quali impongono di non tenere in considerazione le prove irrilevanti, sovrabbondanti o illecite.
Per quel che riguarda, poi, l’obbligo di motivazione del giudice d’appello, l’orientamento giurisprudenziale consolidatosi nel tempo è quello secondo cui “in tema di rinnovazione istruzione dibattimentale in appello, il giudice è tenuto a motivare su tale richiesta solo in caso di accoglimento, dovendo dare conto dell’uso che va a fare del suo potere discrezionale; nelle ipotesi di rigetto, viceversa, non vi è alcun obbligo in questo senso, potendo la motivazione essere solo implicita e desumibile dalla stessa struttura argomentativa della sentenza d’appello” (Cass. Sez. II, Sent. n. 23 gennaio 2014; Cass. Sez. VI, Sent. n. 30744/2013). Ciò in considerazione del principio di completezza dell’attività istruttoria del grado precedente che lo chiamerebbe a dar conto della sua decisione di procedere alla rinnovazione solo quando sia convinto di non poter provvedere allo stato degli atti e non nelle ipotesi di rigetto della richiesta, dal momento che la motivazione in questo caso potrà anche essere implicita e desumibile dalla stessa struttura argomentativa della sentenza d’appello, con cui si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti all’affermazione, o negazione, di responsabilità.

2) Rapporto tra rinnovazione istruzione dibattimentale e giudizio abbreviato

Premesso ciò, l’attenzione va, infine, focalizzata sulla facoltà per il pubblico ministero o il difensore dell’imputato, che abbia scelto di accedere al rito abbreviato, di usufruire o meno dello strumento della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello.
In seguito ad alcuni primi contrastanti orientamenti giurisprudenziali, la Corte Costituzionale con sentenza n. 470 del 1991, statuiva l’inesistenza di preclusioni circa l’operatività della rinnovazione in seno al giudizio abbreviato, argomentando che significativo è il dato testuale dell’art. 443 c.p.p. il quale richiamando il successivo art. 599 (libro IX delle impugnazioni) e non il 127 c.p.p., avrebbe inteso ricomprenderne le implicazioni sia di carattere formale che sostanziale.
Chiamata a dirimere il contrasto la Cassazione a Sezioni Unite si è pronunciata sulla questione affermando anch’essa l’inesistenza di alcuna incompatibilità tra il giudizio abbreviato operato allo stato degli atti e l’integrazione probatoria disposta ex officio (Cass. S.U. n. 930/1995 su rinnovazione istruzione dibattimentale).
A tale pronuncia si è conformata la Corte di Cassazione, la quale, sul punto, ha affermato il principio che “in tema di giudizio abbreviato, la rinnovazione dell’istruttoria in appello (art.603 c.p.p.), sia disposta d’ufficio che su istanza di parte, è compatibile con il rito abbreviato, specialmente se condizionato ai sensi dell’art. 438, comma 5, c.p.p.” (Sez. III, Sent. n. 11100 del 12.3.2008), precisando, però, anche come l’imputato che presenti richiesta di giudizio abbreviato incondizionato, accettando che il procedimento si svolga sulla base degli elementi istruttori acquisiti al fascicolo del pubblico ministero, una volta sollecitato il giudice di appello all’assunzione officiosa di nuove prove, non possa lamentare il mancato esercizio del relativo potere.
Peraltro, è pacifico nella giurisprudenza della Corte Suprema che “in tema di giudizio abbreviato, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello (art. 603 c.p.p.) è compatibile con il rito abbreviato “non condizionato”, ma, attesa la esclusione del diritto di chi ha optato per la definizione del processo nelle forme del procedimento speciale “allo stato degli atti”, a richiedere alcuna integrazione probatoria, il mancato esercizio di poteri istruttori da parte del giudice, benché sollecitato dall’imputato, non costituisce vizio deducibile mediante ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. d) c.p.p.”(Cass. Sez. III, Sent. n. 20262 del 18.03.2014 su rinnovazione istruzione dibattimentale).
La riapertura dell’istruttoria in sede di appello, dunque, in caso di giudizio abbreviato può essere disposta solo in caso di assoluta necessità, valutata d’ufficio dal giudice, per lo più a fronte di prove nuove emerse nelle more del processo, fermo restando l’obbligo per il giudice di appello, in caso di reformatio in peius di sentenza assolutoria emessa a seguito di giudizio abbreviato condizionato, di rinnovare l’istruzione dibattimentale, in base all’art. 6 CEDU, così come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan c/Moldavia.
In sostanza, alla luce di quanto esposto, è possibile affermare che la giurisprudenza si è ormai uniformata sul principio secondo cui non sussiste alcuna preclusione alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello nei confronti di chi abbia fatto ricorso al giudizio abbreviato in primo grado; per quanto concerne, invece, la facoltà del difensore di costui a sollecitare in tal senso il giudice d’appello, vi sono state nel tempo pronunce giurisprudenziali più o meno restrittive. Infatti, secondo un’interpretazione giurisprudenziale più restrittiva, il potere di disporre la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello rientra tra i poteri officiosi del giudice e prescinde da una facoltà dell’imputato, potendo essere esercitato solo quando vi è un’assoluta esigenza probatoria. Secondo un’interpretazione più estensiva, invece, l’imputato che ha deciso di accedere al rito abbreviato “condizionato” può sollecitare il giudice d’appello e richiedere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, mentre quello che ha chiesto di accedere al rito abbreviato allo stato degli atti non ha tale facoltà. In questo caso è solamente il giudice che d’ufficio può disporre la rinnovazione istruzione dibattimentale.

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