I trattamenti sperimentali e il reato di truffa

Le terapie mediche sperimentali e la configurabilità del reato di truffa

 

Negli ultimi anni, le vicende relative al c.d. metodo stamina e, in generale, ai trattamenti sperimentali volti a dare una risposta ad alcune patologie molto gravi, attualmente insuscettibili di terapie risolutive per il paziente (come le malattie neurodegenerative), hanno dato luogo ad un grande clamore mediatico e ad accesi dibattiti ed hanno, altresì, formato oggetto di svariate controversie giudiziarie.

Proprio con riferimento alle vicende giudiziarie di cui sono state oggetto le terapie mediche sperimentali, in questa sede, verrà esaminata una recente pronuncia della Corte di Cassazione, la quale ha ritenuto configurabile il reato di truffa, di cui all’art. 640 c.p., in relazione ad una terapia sperimentale basata sull’utilizzo di cellule staminali (v. Sent. n. 1956/2015 del 20.10.2015, Corte di Cassazione, Sez. II).

Nella fattispecie, l’episodio in oggetto trae origine dal più ampio contesto delle iniziative volte ad accreditare il metodo stamina a livello scientifico ed a farlo rientrare tra le prestazioni mediche elargibili dalle strutture sanitarie. E’ in questo contesto, infatti, che, secondo la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, alcuni soggetti sottoposti ad indagini avrebbero costituito una vera e propria associazione a delinquere, finalizzata, principalmente, alla commissione di una serie di truffe. Tali individui, in particolare, si sarebbero avvicinati ai malati o ai loro familiari promuovendo l’efficacia di terapie innovative, che prevedevano: il prelievo di materiale adiposo da un parente del soggetto malato; il trattamento di tale materiale presso il laboratorio di una società svizzera; ed, infine, la somministrazione, in più occasioni, dello stesso materiale ai pazienti. Il tutto, previo pagamento di cospicue somme di denaro, nell’ordine di migliaia e decine di migliaia di euro.

Alla luce di ciò, il G.I.P. di Brescia, su richiesta della Procura della Repubblica, applicava a tutti i coindagati la misura cautelare degli arresti domiciliari e i difensori di alcuni di essi  ricorrevano al Tribunale del Riesame di Brescia. Il Tribunale, disattendendo la decisione del G.I.P., revocava la misura cautelare applicata, escludendo la gravità indiziaria tanto con riferimento al reato di associazione a delinquere quanto con riferimento al reato-fine di truffa. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, a sua volta, impugnava l’ordinanza del Tribunale del Riesame ed investiva della questione la Corte di Cassazione, che censurava l’ordinanza in oggetto con riferimento alla ritenuta insussistenza della truffa e ne decretava l’annullamento con rinvio ai giudici bresciani per un nuovo esame, rilevando: che il reato di truffa può ritenersi integrato, secondo i consolidati principi giurisprudenziali, quando taluno rappresenta falsamente l’idoneità di una terapia a produrre chances di guarigione o miglioramento in relazione ad una determinata patologia, inducendo in errore la persona offesa con artifizi e raggiri e procurandosi un profitto con altrui danno; che le conclusioni cui è giunto il Tribunale del Riesame di Brescia, in ordine all’insussistenza del reato di truffa,  si fondano su un percorso argomentativo viziato da manifeste illogicità e contraddizioni,  che si risolvono in un’erronea applicazione della legge penale con riferimento al reato di cui all’art. 640 c.p.

L’errore di fondo della richiamata ordinanza, secondo la Corte di Cassazione, consiste in una “artificiosa amputazione della condotta induttiva”, dal momento che il Tribunale nella sua analisi, omettendo di valutare una parte della condotta posta in essere dagli indagati, si è limitato ad affermare l’insussistenza di un inganno, senza considerare alcuni elementi fondamentali valorizzati dal G.I.P. ed emersi, per altro, dalle intercettazioni telefoniche disposte dalla Procura. Nella fattispecie, i giudici del riesame hanno argomentato che gli indagati, nell’indurre le persone offese a sottoporsi alle costose terapie da loro praticate, non hanno realizzato una condotta ingannatrice, poiché non solo hanno rappresentato in modo veritiero la metodologia praticata, ma hanno anche effettivamente realizzato i preparati somministrati ai pazienti in modo conforme alle modalità descritte. Il Tribunale, dunque, sulla scorta di tale ragionamento, ha ritenuto che non vi sia stata alcuna induzione in errore delle persone offese, non reputando sussistente il requisito degli artifizi o raggiri, indispensabile per integrare il reato di truffa.

Orbene, a parere della Corte di Cassazione tale assunto è totalmente illogico e privo di fondamento, poiché non spiega per quale ragione i pazienti avrebbero dovuto pagare somme ingenti di denaro per sottoporsi ad una terapia illegale, disconosciuta dalle autorità sanitarie competenti, qualora non avessero ricevuto assicurazioni di ottenere almeno delle chances di guarigione o miglioramento rispetto alle patologie da cui erano affetti. Infatti, il Tribunale del Riesame non ha considerato come il consenso dei pazienti e dei loro congiunti all’inizio ed alla prosecuzione delle terapie fosse collegato: a promesse miracolistiche in ordine agli effetti positivi che tali somministrazioni avrebbero prodotto; a larvate minacce su ciò che sarebbe potuto accadere di sgradevole in caso di sospensione della terapia ovvero di ricorso alle terapie tradizionali. Infine, il Tribunale bresciano ha omesso di spiegare perché non ha preso in considerazione le argomentazioni del G.I.P. secondo cui la falsa rappresentazione della provenienza degli asseriti farmaci da parte di un soggetto competente, in quanto dotato di titoli nel campo della medicina, è idonea ad esercitare una valenza persuasiva circa l’utilità (in realtà insussistente)  per i malati di sottoporsi alle terapie da questi proposte (induzione in errore). Si fa espresso riferimento alla circostanza  relativa alla falsa rappresentazione agli indagati della qualifica di medico rivestita dal soggetto, responsabile della società svizzera che provvedeva alla produzione degli asseriti farmaci e che, in più occasioni, aveva incontrato le persone offese offrendo spiegazioni sulla terapia.

La Suprema Corte, poi, proseguendo nella disamina della condotta delittuosa, posta in essere dagli indagati, rilevava che la stessa si era sostanzialmente articolata in due fasi, ovvero: la rappresentazione delle modalità di produzione dei presunti farmaci, sulla quale non vi era stata menzogna; la falsa rappresentazione dell’utilità di tali preparati ad ottenere “quanto meno delle chances di guarigione o miglioramento”, che certamente è stata determinante nell’indurre i malati a sottoporsi ad una serie di procedure mediche, previo pagamento di cospicue somme di denaro nell’ordine di migliaia o decine di migliaia di euro, al fine di acquistare gli asseriti farmaci. Infine, la Corte di Cassazione, proprio con riferimento al requisito dell’induzione in errore, riportandosi ad una vicenda considerata affine ovvero al caso Scientology, ha riaffermato il consolidato principio secondo cui la particolare condizione di debolezza di un soggetto, che sia in lui determinata da una fragilità di fondo o da situazioni contingenti, lungi dall’escludere la configurabilità in suo danno del reato di truffa, finisce per renderne più agevole la consumazione.

Riepilogando:
1) la condotta di chi promuove la (in realtà inesistente) potenzialità benefica e curativa di determinate terapie “sperimentali”  può integrare il requisito degli artifizi o raggiri, ai sensi dell’art. 640 c.p., a maggior ragione se chi agisce non si limita ad una condotta promozionale ma utilizzi altri espedienti volti a corredare di verità scientifica le assicurazioni fornite e ad aumentarne la valenza persuasiva (ad es. la falsa qualifica di medico che si è attribuito uno dei sodali nel caso di specie);
2) le condotte sopra descritte manifestano la volontà dei sodali di creare o rafforzare nei soggetti passivi la falsa illusione di una possibile, anche se non certa, prospettiva di guarigione, quanto meno in un’ottica di un miglioramento delle condizioni di salute e di un rallentamento nel decorso della malattia;
3) le larvate minacce oggetto delle intercettazioni appaiono finalizzate ad accrescere agli occhi delle vittime, in modo subdolo, la bontà della metodologia sperimentale proposta ed anche a dissuadere le stesse dall’entrare in contatto con le istituzioni sanitarie, al fine di garantirsi l’affidamento esclusivo all’associazione ed alla tipologia di cure da questa promossa.

In conclusione, con riferimento al caso in esame, la falsificazione di un dato di assoluta rilevanza, come quello relativo all’idoneità o meno della terapia a produrre chances di successo, ha indotto le persone offese in quell’errore decisivo affinché le stesse (affette da patologie gravi incurabili ed alla disperata ricerca di un rimedio) decidessero di pagare quanto loro richiesto. A nulla rilevando, ai fini dell’esclusione degli artifizi o raggiri e, comunque, dell’impossibilità dell’inganno, la circostanza che le prospettive di miglioramento, in relazione a patologie  pressoché incurabili, fossero altamente aleatorie.

 


ART. 640 CODICE PENALE. TRUFFA.
Fonti → Codice Penale → LIBRO SECONDO – Dei delitti in particolare → Titolo XIII – Dei delitti contro il patrimonio (artt. 624-649) → Capo II – Dei delitti contro il patrimonio mediante frodeChiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 trecentonove a euro 1.549:
1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;
2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità;
2 bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5).
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un’altra circostanza aggravante.

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