Querela e parte civile

Querela e parte civile:  le posizioni possono anche non coincidere.

La cassiera di una società in nome collettivo si appropria di denaro appartenente all’azienda. La società, in persona del legale rappresentante sporge querela per i reati di appropriazione indebita e furto. Nel giudizio penale, invece, si costituisce quale parte civile un socio della ditta.

La difesa ne chiede l’esclusione in forza dell’art.74 c.p.p.
La cassazione – confermando l’orientamento espresso nelle precedenti statuizioni sul rapporto fra querela e parte civile – respinge l’eccezione, affermando che il potere di querela per i reati contro il patrimonio in danno di una società spetta al legale rappresentante, ma i singoli soci, che subiscono le conseguenze patrimoniali dell’illecito, sono legittimati alla costituzione di parte civile.

 


querela e parte civile

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE n. 6035 del 27/01/2016 – dep. in data 12/02/2916

(…)
Fatto

RITENUTO IN FATTO1. Con sentenza del 13/04/2015, la Corte di Appello di Lecce, riqualificato il reato di furto aggravato ascritto a D. M., come appropriazione indebita aggravata dall’art. 61 c.p., n. 11, rideterminava la pena in mesi sei di reclusione ed Euro 210,00 di multa.

2. Contro la suddetta sentenza, l’imputata, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:

2.1. violazione dell’art. 646 c.p. per non avere la Corte assolto l’imputata sotto il profilo della mancanza dell’ingiusto profitto, in quanto la medesima, appropriandosi di denaro di proprietà della società presso la quale svolgeva le mansioni di cassiera, aveva inteso solo appropriarsi di somme che la proprietaria le doveva per omessi pagamenti degli stipendi;

2.2. violazione dell’art. 54 c.p. per non avere la Corte ritenuto la configurabilità dello stato di necessità;

2.3. violazione dell’art. 61 c.p., n. 11 per essere la suddetta aggravante insussistente in quanto il datore di lavoro aveva fatto installare delle telecamere;

2.4. violazione dell’art. 74 c.p.p. per avere la Corte ammesso la costituzione come parte civile del socio, nonostante fosse un soggetto giuridico diverso dalla s.n.c. dalla quale la ricorrente era stata assunta come dipendente.
Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. violazione dell’art. 646 c.p.: la suddetta doglianza è manifestamente infondata.

In punto di fatto, perchè la Corte territoriale ha affermato che “l’omesso pagamento delle retribuzioni da parte del datore di lavoro” è solo affermata dall’imputata “in assenza di riscontri convincenti ed in presenza di elementi contrari (…)”.

In punto di diritto, perchè l’ordinamento giuridico non prevede (al di fuori dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni: nella fattispecie non configurabile sotto il profilo dell’elemento materiale del reato) l’appropriazione, all’insaputa e contro la volontà del datore, di denaro di costui, per soddisfare una propria asserita pretesa (peraltro, nel caso di specie, anche rimasta priva di riscontri).

2. violazione dell’art. 54 c.p.: anche la suddetta censura è manifestamente infondata sotto un duplice profilo:

a) in punto di fatto, perchè lo stato di necessità non risulta provato, secondo quanto ha affermato la Corte;

b) in punto di diritto perchè “l’esimente dello stato di necessità, che postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona non altrimenti evitabile, non può applicarsi a reati asseritamente provocati da uno stato di indigenza connesso alla situazione socio- economica qualora ad essa possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti”:  Cass. 26143/2006 Rv.

234529; Cass. 28067/2015 Rv. 264560.

3. violazione dell’art. 61 c.p., n. 11: la doglianza è manifestamente infondata, perchè, per la legge, ciò che rileva è l’esistenza di una particolare fiducia che venga riposta nell’agente, circostanza questa che la Corte ha ampiamente motivato alla stregua di puntuali elementi fattuali (pag. 4). E’, pertanto, del tutto irrilevante che il datore di lavoro avesse fatto installare delle telecamere.

4. violazione dell’art. 74 c.p.p.: anche la suddetta doglianza è manifestamente infondata in quanto, come ha già osservato la Corte territoriale, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, che in questa sede va ribadita, è nel senso che “Il potere di querela per i reati contro il patrimonio in danno di una società spetta al legale rappresentante, ma i singoli soci, che subiscono le conseguenze patrimoniali dell’illecito, sono legittimati alla costituzione di parte civile”: Cass. 45089/2009 Rv. 245694;  Cass. 40578/2014 Rv. 260363.

3. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.

PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute, in questo grado, dalla parte civile B.G. che liquida in Euro 3.500,00 oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2016

 

 

nell’immagine: picasso – paesaggio mediterraneo  rela e parte civile

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