Il piano regolatore generale e i poteri del Comune

Il piano regolatore generale (PRG) e gli ambiti del potere di pianificazione dei Comuni

“Un brutto libro si può non leggere; una brutta musica si può non ascoltare; ma il brutto condominio che abbiamo di fronte a casa lo vediamo per forza” (Renzo Piano).

I. PRG: definizione, contenuto e procedura di adozione

Il piano regolatore generale comunale (PRG) è lo strumento urbanistico che regola l’attività di gestione e organizzazione del territorio comunale, di cui ogni comune italiano deve dotarsi, ai sensi della legge n.1150 del 17.08.1942 (in Sicilia, anche la L.R. n.71/1978).

Il piano regolatore generale deve considerare la totalità del territorio comunale e deve indicare essenzialmente:
1) la rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi impianti;
2) la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona;
3) le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù;
4) le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale;
5) i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico;
6) le norme per l’attuazione del piano.

Il PRG viene adottato a conclusione di una complessa procedura:
i) il progetto di piano regolatore generale del Comune, deliberato dal Coniglio Comunale, deve essere depositato nella Segreteria comunale per la durata di 60 giorni consecutivi, durante i quali chiunque ha facoltà di prendere visione;
ii) fino a 10 giorni dopo la scadenza del periodo di deposito possono presentare osservazioni chiunque, liberi cittadini ed associazioni;
iii) sulle osservazioni ed opposizioni, il consiglio comunale è tenuto a formulare le proprie deduzioni e rilievi;
iv) così definita la procedura, il Comune trasmette all’ Assessorato regionale del territorio e dell’ambiente che lo adotta mediante decreto assessoriale.

Il PRG non è soggetto a scadenza (“ha vigore a tempo indeterminato”) e non è direttamente attuativo.
A riguardo, per dare efficacia alle prescrizioni del PRG, sono necessarie i cosiddetti “strumenti d’attuazione” che rappresenta lo strumento principale di pianificazione del territorio dei Comuni.

II. I c.d. piani urbanistici attuativi

A titolo indicativo si può dire che i principali strumenti attuativi sono: i piani particolareggiati (di iniziativa pubblica o privata- P.P.); i piani di zona; i piani di lottizzazione; i piani per l’edilizia economica e popolare (P.E.E.P.); i piani delle aree da destinare agli insediamenti produttivi (P.I.P.); i piani di recupero di iniziativa pubblica o privata (P.D.R.).

L’approvazione dei piani urbanistici attuativi, rientra nell’esclusiva competenza comunale.

Si tratta di elaborati che “precisano” gli interventi sul territorio e ne organizzano l’attuazione traducendo dettagliatamente le previsioni e le prescrizioni dettate, per grandi linee, dal Piano Regolatore Generale.

Appare evidente, quindi, che tutti i piani attuativi devono, o almeno dovrebbero svolgere la loro efficacia nel rigoroso rispetto del piano regolatore generale in quanto non possono annullare o vanificare le disposizioni previste dallo stesso.

Sta di fatto che l’esclusiva competenza comunale (salvo che si tratti di piani attuativi definiti di interesse sovra comunale o di aree e ambiti territoriali di interesse regionale), essendo disciplinata dettagliatamente con legge regionale, può variare (in ogni Regione) nella procedura, ma anche nella maggiore o minore “flessibilità” del potere d’autonomia comunale e di intervento della Regione.

III. La discrezionalità e i limiti del potere di pianificazione dei Comuni

Secondo giurisprudenza costante, le scelte effettuate dall’Amministrazione comunale in sede di pianificazione urbanistica di carattere generale costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità se non per profili di manifesta illogicità ed irragionevolezza (v. per ultimo Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4666 del 11.11.2016).

E’ importante, inoltre, precisare che il potere di pianificazione territoriale deve essere correlato ad un concetto di urbanistica non limitato alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli (relativamente ai tipi di edilizia, distinti per finalità), ma che è volto a perseguire obiettivi economico-sociali della comunità locale, in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunità territoriali.
In particolare, il concetto di urbanistica non è strumentale solo all’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio in relazione alle diverse tipologie di edificazione, ma è volto funzionalmente alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente riconosciuti, quali la tutela alla salute e all’ambiente (v. Consiglio di Stato, sez. IV, 05/09/2016, n. 3806).

In definitiva, l’urbanistica ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo (v. Consiglio di Stato, sez. IV, 25.05.2016, n.2221).

Con riferimento alla portata e ai limiti del potere di pianificazione, come concretamente esercitato dai Comuni in seno di PRG, è bene precisare che:
a) le scelte effettuate dall’Amministrazione nell’adozione del piano costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità;
b) in relazione alla formazione di uno strumento urbanistico generale, le scelte discrezionali dell’Amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione oltre quella rinvenibile nei criteri generali di ordine tecnico – discrezionali seguiti nell’impostazione del piano stesso;
c) non è comunque configurabile un’aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria in relazione a precedente destinazione ma soltanto un’aspettativa generica ad una reformatio in melius analoga a quella di ogni altro proprietario che aspira ad una utilizzazione più proficua dell’immobile salvo i casi (nella specie non ricorrenti) di previsioni di standard superiori al minimo, di introduzione della destinazione agricola, di giudicati favorevoli al privato proprietario e di convenzioni di lottizzazione precedentemente approvate.

Infatti, è stato recentemente ribadito dal Consiglio di Stato che “le scelte effettuate dall’Amministrazione nell’adozione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità, sicché anche la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico- discrezionale, seguiti nell’impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni; in sostanza le uniche evenienze, che richiedono una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali sono date dal superamento degli standards minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree, dalla lesione dell’affidamento qualificato del privato, derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione e, infine, dalla modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo” (v. Consiglio di Stato, sez. IV, 18/11/2013, n. 5453).

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