La particolare tenuità del fatto

Particolare tenuità del fatto: causa di non punibilità, di non procedibilità e circostanza attenuante comune.

Il rapporto fra il D.Lgs. n.28/2015 (tenuità come causa di non punibilità) e il D. Lgs. n.274/2000 (tenuità come causa di non procedibilità).

Gli effetti dalla mancata comparizione della persona offesa.

Con il D. Lgs. n.28/2015 è stato introdotto un nuovo istituti giuridico: la non punibilità per particolare tenuità dell’offesa.

Infatti, l’art. 131 bis del codice penale dispone che:
nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.
L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.
Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest’ultimo caso ai fini dell’applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’articolo 69.
La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuita’ del danno o del pericolo come circostanza attenuante“.

In base a tale normativa – nel corso delle indagini preliminari – il pubblico ministero, verificata la ricorrenza delle condizioni volute dalla legge, è “obbligato” a richiedere l’archiviazione; l’art. 131 bis, infatti, dispone espressamente che “la punibilità è esclusa” e non che può essere esclusa.
La richiesta di archiviazione deve essere comunicata all’imputato e alla parte offesa.
Se è stata proposta opposizione, il Giudice fissa un’udienza in camera di consiglio per sentire le parti, e decide con ordinanza sulla richiesta di archiviazione. In mancanza di opposizione, il Giudice si pronuncia con decreto.

Resta comunque salva la facoltà per il Giudice di rigettare la richiesta di archiviazione e provvedere ai sensi dell’art. 409 c.p.p. (così disponendo al pubblico ministero le ulteriori indagini da compiere o la formulazione dell’imputazione c.d. coatta).

Problemi di “fluida” applicabilità della normativa in questione si pongono con le procedure semplificate previste dinnanzi al Giudice di Pace (v. D. Lgs. n.274/2000): infatti, la richiesta di archiviazione è comunicata solo alla persona offesa che ne abbia fatta espressa richiesta e in caso di opposizione non è previsto lo svolgimento in contraddittorio dell’udienza in camera di consiglio.

Inoltre, il nuovo istituto previsto nell’art. 131 bis c.p. si aggiunge (e in parte sovrappone) a quanto era già previsto dal D. Lgs. n.274/2000, in tema di esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto.
Infatti, l’art. 34 del richiamato decreto stabilisce che:
“Il fatto è di particolare tenuità quando, rispetto all’interesse tutelato, l’esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado della colpevolezza non giustificano l’esercizio dell’azione penale, tenuto conto altresì del pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indagini o dell’imputato.
Nel corso delle indagini preliminari, il giudice dichiara con decreto d’archiviazione non doversi procedere per la particolare tenuità del fatto, solo se non risulta un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento.
Se è stata esercitata l’azione penale, la particolare tenuità del fatto può essere dichiarata con sentenza solo se l’imputato e la persona offesa non si oppongono.

Con riferimento alla normativa richiamata si è posto un ulteriore problema: cosa accade se, dopo l’esercizio dell’azione penale, la persona offesa, non compaia in udienza per  esprimere la propria opposizione?

Con sentenza delle SS. UU. N. 43264/2015 (ud. 16.7.2015 – dep. 27.10.2015) è stato affermato il principio di diritto secondo cui “nel procedimento davanti al giudice di pace, dopo l’esercizio dell’azione penale, la mancata comparizione in udienza della persona offesa, regolarmente citata o irreperibile, non è di per sé ostacolo alla dichiarazione di improcedibilità dell’azione penale per la particolare tenuità del fatto, in presenza dei presupposti di cui all’art. 34, comma 1, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274.
Tale massima è stata resa dai giudici della S.C. in relazione ad un procedimento dinanzi al Giudice di pace che vedeva l’imputato tratto a giudizio e chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 594 c.p.
All’esito del dibattimento, il Giudice emetteva sentenza, ritenendo sussistenti i presupposti per dichiarare il fatto di particolare tenuità. In particolare, l’organo giudicante, perveniva a tale decisione desumendo che la mancata comparizione della persona offesa, manifestasse un’assenza di interesse al procedimento nonché la non persistenza di una richiesta di risarcimento e di condanna dell’imputato, atteso altresì il danno minimo cagionato dall’illecito.
Avverso tale sentenza ricorreva per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica che denunciava la violazione dell’art. 34, comma 3, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274.
Detta norma, secondo l’Ufficio del ricorrente implica che dopo l’esercizio dell’azione penale, l’estinzione del procedimento per la particolare tenuità del fatto può essere dichiarata solo quando l’imputato e la persona offesa non si oppongono, e cioè solo nel caso in cui prestano il loro consenso a quel tipo di definizione del procedimento; nel caso in esame, invece, il giudice a quo, aveva basato la propria decisione su una mera presunzione.
L’Ufficio ricorrente assumeva inoltre la violazione degli artt. 90, 190, 157, 177 comma 5, 178, comma 1, lettera c), c.p.p, e dell’art. 20, nn. 3 e 6 (ora commi 4 e 6) d.lgs. n. 274 del 2000, sul rilievo che non era stato fatto alcun tentativo di citare la persona offesa.

La V sez. penale, assegnataria del ricorso, provvedeva a rimetterlo alle Sezioni Unite rilevando un contrasto giurisprudenziale in merito al seguente quesito: se la mancata comparizione della persona offesa all’udienza dinanzi al giudice di pace, implichi per se stessa un’opposizione a che il procedimento venga definito con dichiarazione di particolare tenuità del fatto ex art. 34, comma 3, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274.
La questione era dibattuta e attorno ad essa si registrano due differenti orientamenti.
Secondo un primo indirizzo la mancata comparizione della persona offesa in udienza non può essere interpretata come volontà di non opposizione rispetto ad una valutazione meramente eventuale del giudice in merito alla particolare tenuità del fatto (Sez. 5. N.49781 del 21.9.2012, Sabouri, Rv. 254833).
Il contrapposto filone giurisprudenziale afferma che la decisione della persona offesa di non comparire in udienza implicherebbe invece una volontà di rinuncia all’esercizio di tutte le facoltà processuali previste dalla legge, tra cui quella di opporsi all’esito del procedimento per particolare tenuità del fatto (Sez. 5, n. 9700 del 5.12.2008, dep. 2009, Arhini, Rv. 242971), non richiedendo d’altra parte l’art. 34 necessariamente la presenza della persona offesa.

Le SS. UU. giungono a dirimere il contrasto osservando in primis che entrambi gli orientamenti registrano un difetto di impostazione: questi valutano come condizione necessaria l’acquiescenza della persona offesa affinché il procedimento possa aver esito di improcedibilità per particolare tenuità del fatto. Secondo la Suprema Corte, l’art. 34, comma 3, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, non prevede, infatti, che il titolare del bene giuridico tutelato, manifesti un adesione – sia essa esplicita o implicita – affinché il giudizio possa definirsi con esito liberatorio. Diversamente, come altresì confermato con precedente ordinanza dalla Corte Costituzionale (v. ordinanza Cost. n. 63 del 2007) e come emerge dal tenore della disposizione, ai fini dell’operatività della norma sopra citata, è necessario che la persona offesa manifesti in modo esplicito la propria opposizione, con “formale ed inequivoca manifestazione di volontà”. Occorre, in tal senso, che la persona offesa sia necessariamente posta nelle condizioni di esprimere la propria eventuale opposizione mediante la regolare citazione in dibattimento. Qualora ciò sia avvenuto, e la persona sia stata citata nel rispetto delle norme, la legge non impone alcuna apposita convocazione preordinata a raccogliere la propria eventuale opposizione all’improcedibilità per tenuità del fatto.
Quanto osservato dalla Corte, porta dunque la stessa a propendere per la massima sopra riportata.

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