Marijuana uso personale, detenzione e coltivazione, tra giurisprudenza e proposte di legge

Cannabis: verso il tramonto dell’inutile e dannoso proibizionismo?
L’orientamento giurisprudenziale sul possesso e sulla coltivazione di marijuana.
L’analisi del progetto di legge in discussione alle camere.

Perché la marijuana è illegale? Cresce naturalmente sul nostro pianeta. L’idea di rendere la natura illegale non vi sembra un po’… innaturale?” Bill Melvin Hicks

Premesse

La questione della legalizzazione delle c.d. droghe leggere è un argomento molto dibattuto fra la gente.

In questo articolo, che sarà suddiviso in due parti, cercheremo di contribuire alla formazione della conoscenza e del sapere comune, sia degli “addetti ai lavori” sia dei “semplici” cittadini.

In primo luogo, si affronterà la questione delle conseguenze giuridiche – a legislazione immutata – della coltivazione, del possesso e del consumo delle droghe leggere, attraverso un excursus della più recente giurisprudenza.

Nella seconda parte, invece, si tratteranno i caratteri principali della proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis.

E’, però, opportuno fare alcune considerazioni introduttive.
La legalizzazione della marijuana è un argomento di grande interesse e importanza sotto diversi punti di vista; infatti, da una parte, vi sono gli enormi guadagni che le organizzazioni criminali traggono dalla produzione, dal traffico e dal commercio delle c.d. droghe leggere (quantificato in oltre 2,5 miliardi di euro all’anno) e l’origine-qualità (ovviamente) non controllata della sostanza, con i relativi rischi per la salute dei consumatori.

Dall’altra, c’è la diffusione “di massa” del consumo di cannabis che viene utilizzata (in modo episodico, saltuario o costante)  da non meno del 20-25% della popolazione italiana.

Questo quadro è stato recentemente riconosciuto anche dalla Direzione Nazionale Antimafia che – nella sua ultima relazione – ha preso atto del “totale fallimento dell’azione repressiva” e della “letterale impossibilità di aumentare gli sforzi per reprimere meglio e di più la diffusione dei cannabinoidi”.

Riteniamo che oggi più che mai sia necessario assumere un approccio laico e realistico, adeguando la legge e la giurisprudenza agli usi e costumi della società civile.

Ecco perchè la proposta di legge sulla legalizzazione della marijuana, in discussione in Parlamento, con tutti i suoi limiti, rappresenta un’importantissa occasione per rendere il nostro paese culturalmente e socialmente migliore, progressista e “al passo con i tempi”.

L’utilizzo per fini terapeutici della marijuana in diverse patologie è un fatto noto; più controversi e dibattuti sono gli effetti del consumo delle droghe leggere sull’uomo; invece, meno contestate sono le ripercussioni negative sul sistema nervoso (in crescita) degli adolescenti.

Ma  anche il tabacco e l’alcol sono prodotti “tossici” che causano malattie e morti, e non per questo vengono vietati. A riguardo, le campagne di prevenzione e di informazione sono preziosi strumenti per tutelare la salute dei cittadini. Ma ciascuno, ben informato e consapevole dei rischi a cui va in contro, è giusto che scelga liberamente il proprio stile di vita, nel rispetto degli altri e della collettività.

Un altra questione è, invece, l’abuso di sostanze stupefacenti, alcoliche o di tabacco, molto diffuso tra i giovani. Per limitare queste preoccupanti e insane abitudini non serve una politica proibizionista; piuttosto bisognerebbe agire sulle cause di questi fenomeni, sull’esclusione ed emarginazione sociale, sulla mancanza o sull’inconsistenza di valori, sulla crisi delle strutture e delle reti sociali di basi.

1) La giurisprudenza in tema di droghe leggere. La coltivazione ed il possesso di marijuana.

La coltivazione e/o il possesso di marijuana, oggi, a determinate condizioni, sono fonti di responsabilità penale.

a) Nel caso in cui il possesso di cannabis è volto ad esclusivo uso personale la condotta è considerata illegittima, ma penalmente irrilevante.
Infatti, l’art. 75 del D.P.R. n. 309 del 1990 configura come illecito amministrativo il fatto di chi, «per farne uso personale, illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope».
Tale sanzione amministrativa può consistere in pesanti e “fastidiose” limitazioni quali:
— la sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni;
— sospensione della licenza di porto d’armi o divieto di conseguirla;
— sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di conseguirli;
— sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario.

Quanto ai criteri per determinare le situazioni di uso personale dello stupefacente, la quantità ritrovata (e sequestrata) è un elemento di tipo indiziario.
Infatti, la Corte di Cassazione ha recentemente asserito che la quantità della sostanza stupefacente rinvenuta costituisce un mero indizio che può assurgere a rango di prova della finalità di cessione a terzi, solo quando le dosi ricavabili, oltre a superare i limiti tabellari, siano talmente tante da escluderne lo scopo dell’uso personale (v. con riferimento a 50,360 grammi di hashish da cui erano ricavabili circa 2.033 dosi medie singole, Cass. Sez. 3, n. 43496 del 02/10/2012, e, con riferimento a 88 grammi netti di marijuana, da cui erano ricavabili circa 200 dosi di sostanza drogante, Cass. Sez. 6, n. 9723 del 17/01/2013).

In caso contrario (come ad esempio nella fattispecie in cui le dosi complessivamente traibili erano 77, ovvero poco meno di 40 grammi netti di marjuana), la ingente quantità, da sola, non basta per determinare la responsabilità penale dell’imputato; il Giudice, infatti, dovrà valutare altre “circostanze dell’azione”: l’eventuale ritrovamento di grandi quantità di denaro, la modalità di presentazione della sostanza in dosi, il rinvenimento di strumentazione finalizzata al confezionamento delle singole dosi, tra cui un bilancino di precisione o alcune buste di cellophane (Cassazione penale, sez. III, 23/02/2016,  n. 15893).

b) Per quanto concerne la coltivazione di marijuana, a prescindere dalla destinazione ad un potenziale uso personale, è sempre considerata un illecito penale, secondo quanto previsto dall’art. 73 DPR n.309/1990.

Si tratta, in particolare, di un tipico reato di pericolo presunto, sul rilievo che può valutarsi come “pericolosa”, ossia idonea ad attentare al bene della salute dei singoli, per il solo fatto di arricchire la provvista esistente di materia prima, e quindi di creare potenzialmente più occasioni di spaccio di droga.

A riguardo si è espressa la Corte Costituzionale con la recentissima sentenza n.109 del 2016 (pubblicata il 20 maggio) che ha – sostanzialmente – riaffermato i principi già espressi con la sua precedente decisione n. 360 del 24/07/1995.
In particolare, la Corte Costituzionale, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, affermando che qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante (svolta anche a livello domestico) dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche se realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale, costituisce una condotta penalmente rilevante.

Per comprende, però, come il Giudice della leggi, sia portatore di una “visione” che non solo giuridicamente, ma anche socialmente, è in contrasto con il comune vivere e sentire, è utile riportare questo passaggio della sentenza recentemente depositata:
La disposizione in esame rappresenta il momento saliente di emersione della strategia – cui si ispira la normativa italiana in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope (…) – volta a differenziare, sul piano del trattamento sanzionatorio, la posizione del consumatore della droga da quelle del produttore e del trafficante. L’idea di fondo del legislatore è che l’intervento repressivo debba rivolgersi precipuamente nei confronti dei secondi, dovendosi scorgere, di norma, nella figura del tossicodipendente o del tossicofilo una manifestazione di disadattamento sociale, cui far fronte, se del caso, con interventi di tipo terapeutico e riabilitativo (…).
La relativa disciplina riflette chiaramente, peraltro, anche la preoccupazione di evitare che la strategia considerata si traduca in un fattore agevolativo della diffusione della droga tra la popolazione: fenomeno che (…) è ritenuto meritevole di fermo contrasto a salvaguardia tanto della salute pubblica, «sempre più compromessa da tale diffusione», quanto della sicurezza e dell’ordine pubblico, «negativamente incisi vuoi dalle pulsioni criminogene indotte dalla tossicodipendenza […] vuoi dal prosperare intorno a tale fenomeno della criminalità organizzata […], nonché a fini di tutela delle giovani generazioni» (sentenza n. 333 del 1991). Di qui, dunque, la previsione di condizioni e limiti di operatività del regime differenziato (…)”.

A niente sono valsi, quindi, i rilievi eccepiti dalla Corte di Appello di Brescia sulla legittimità costituzionale dell’art. 73  DPR n.309/1990.
Secondo i giudici d’appello, infatti, risulterebbe violato il principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione), sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento fra chi detiene per uso personale sostanza stupefacente ricavata da piante da lui stesso precedentemente coltivate – assoggettabile soltanto a sanzioni amministrative, in forza della disposizione denunciata – e chi è sorpreso mentre ha in corso l’attività di coltivazione, finalizzata sempre al consumo personale: condotta che assume, invece, rilevanza penale.
La norma censurata violerebbe, altresì, sempre ad avviso della Corte di Appello, il principio di necessaria offensività del reato, desumibile dalla disposizione combinata degli artt. 13, secondo comma, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., in quanto non diretta ad alimentare il mercato della droga, la coltivazione di piante di cannabis per uso personale risulterebbe, infatti, inidonea a ledere i beni giuridici protetti dalla norma incriminatrice di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, costituiti – alla luce delle indicazioni della giurisprudenza di legittimità – non già dalla salute individuale dell’agente, ma dalla salute pubblica, dalla sicurezza e dall’ordine pubblico.

Queste valutazioni, più lineari e corrette ad avviso di chi scrive, si basano sul principio che la protezione della salute o dell’incolumità individuale dell’agente da comportamenti autolesivi sia estranea non solo al sistema normativo in esame, ma all’intero ordinamento penale; lo dimostrerebbe, d’altronde, il fatto che non solo altri comportamenti notoriamente nocivi per la salute di chi li pone in essere (quali il tabagismo e l’abuso di sostanze alcooliche), ma persino la più grave delle condotte autolesive, e cioè il tentativo di suicidio, restino privi di rilevanza penale.

E’ stato, inoltre e per altro verso, abbandonato il tentativo, operato da un indirizzo giurisprudenziale minoritario (anche questo più progressista..), di limitare la nozione di «coltivazione» alla sola attività gestita con caratteri di imprenditorialità, facendo rientrare la cosiddetta coltivazione “domestica” nel generico concetto di detenzione di cui all’art. 75 del d.P.R. n. 309 del 1990 non penalmente rilevante.

Sulla punibilità in concreto della coltivazione, però, è bene richiamare le Sezioni Unite, Corte di Cassazione, con la sentenza nr. 28605 del 24/04/2008 e una recente decisione della della Cassazione penale, sez. VI, n. 2618 del 21/10/2015, in forza delle quali “ai fini della configurabilità della condotta di coltivazione di piante stupefacenti, non è sufficiente l’accertamento della loro conformità al tipo botanico previsto e della loro attitudine futura a giungere a maturazione e produrre sostanza stupefacente, dovendosi invece verificare l’offensività in concreto della condotta, intesa come prova della effettiva ed attuale capacità a produrre un effetto drogante rilevabile nell’immediatezza”.

Nella sostanza la semplice conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente non è sufficciente.
Infatti, se le piantine sono “poco più che germogli”, e quindi non sono giunte a maturazione, avendo un principio attivo bassissimo, la condotta assunta (di coltivazione della cannabis) è penalmente irrilevante.

In sostanza, si è ritenuto che non è concepibile un reato senza offesa.

Concludendo, anche una pianta di marijuana, se è già cresciuta e pronta alla raccolta, basterebbe a far scattare la responsabilità penale, anche se si dimostrasse la sua (futura) destinazione ad un uso personale.

2) Il disegno di legge c. 3328 sulla legalizzazione della marijuana.

Di seguito vengono sintetizzati gli elementi principali della riforma antiproibizionista in discussione in Parlamento:

— Il possesso legale
Si stabilisce il principio della detenzione lecita di una certa quantità di cannabis per uso ricreativo – 5 grammi innalzabili a 15 grammi in privato domicilio – non sottoposta ad alcuna autorizzazione, né ad alcuna comunicazione a enti o autorità pubbliche.
Rimane comunque illecito e punibile il piccolo spaccio di cannabis, anche per quantità inferiori ai 5 grammi. È inoltre consentita la detenzione di cannabis per uso terapeutico entro i limiti contenuti nella prescrizione medica, anche al di sopra dei limiti previsti per l’uso ricreativo.

— La coltivazione domestica e l’autocoltivazione
É possibile coltivare piante di cannabis, fino a un massimo di 5 di sesso femminile, in forma sia individuale, che associata. È altresì consentita la detenzione del prodotto ottenuto dalle piante coltivate. Per la coltivazione personale è sufficiente inviare una comunicazione all’Ufficio regionale dei Monopoli competente per territorio e non è necessaria alcuna autorizzazione. I dati trasmessi sono inseriti tra i “dati sensibili” del Codice Privacy (opinioni politiche, tendenze sessuali, stato di salute…), e non possono essere né acquisiti, né diffusi per finalità diverse da quelle previste dalla procedura di comunicazione.

— I c.d.  cannabis social club
Per la coltivazione in forma associata, è necessario costituire una associazione senza fini di lucro, sul modello deicannabis social club spagnoli, cui possono associarsi solo persone maggiorenni e residenti in Italia, in numero non superiore a cinquanta. Ciascun cannabis social club può coltivare fino a 5 piante di cannabis per ogni associato. È possibile iniziare a coltivare decorsi trenta giorni dall’invio della comunicazione all’Ufficio regionale dei Monopoli competente per territorio. Anche in questo caso le comunicazioni sono protette dalle norme previste per i “dati sensibili” dal Codice Privacy.

— La vendita 
È istituito il regime di monopolio per la coltivazione delle piante di cannabis, la preparazione dei prodotti da essa derivati e la loro vendita al dettaglio. Per queste attività sono autorizzati dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli anche soggetti privati. Sono escluse esplicitamente dal regime di monopolio la coltivazione in forma personale e associata della cannabis, la coltivazione per la produzione di farmaci, nonché la coltivazione della canapa esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali. Per le attività soggette a monopolio sono previsti principi (tracciabilità del processo produttivo, divieto di importazione e esportazione di piante di cannabis e prodotti derivati, autorizzazione per la vendita al dettaglio solo in esercizi dedicati esclusivamente a tale attività, vigilanza del Ministero della salute sulle tipologie e le caratteristiche dei prodotti ammessi in commercio e sulle modalità di confezionamento, ecc. ecc.), la cui attuazione è delegata a tre decreti ministeriali. La violazione delle norme del monopolio comporta, in ogni caso, l’applicazione delle norme di contrasto alla produzione e al traffico illecito di droga.

— L’uso terapeutico
Sono previste norme per semplificare la modalità di individuazione delle aree per la coltivazione di cannabis destinata a preparazioni medicinali e delle aziende farmaceutiche autorizzate a produrle, in modo da soddisfare il fabbisogno nazionale. Sono inoltre semplificate le modalità di consegna, prescrizione e dispensazione dei farmaci contenenti cannabis. L’obiettivo è quello di migliorare una situazione, come quella attuale, in cui il diritto a curarsi con i derivati della cannabis è formalmente previsto, ma sostanzialmente impedito da vincoli burocratici, sia per l’approvvigionamento delle materie prime per la produzione nazionale, sia per la concreta messa a disposizione dei preparati per i malati.

— Divieto di fumare in luoghi pubblici
Si stabilisce un principio generale di divieto di fumo di marijuana e hashish in luoghi pubblici, aperti al pubblico e negli ambienti di lavoro, pubblici e privati. Sarà possibile fumare solo in spazi privati, sia al chiuso, che all’aperto.

— Divieto di guidare
Come per l’alcol, la legalizzazione della cannabis non comporta l’attenuazione delle norme e delle sanzioni previste dal Codice della strada per la guida in stato di alterazione psico-fisica. Nel caso della cannabis, rimane aperta comunque la questione relativa alle tecniche di verifica della positività al tetroidrocannabinolo che attestino un’alterazione effettivamente in atto, come per gli alcolici, e non solo un consumo precedente che abbia esaurito il cosiddetto effetto “drogante”.

— La prevenzione
I proventi derivanti per lo Stato dalla legalizzazione del mercato della cannabis sono destinati per il 5% del totale annuo al finanziamento dei progetti del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga. Inoltre, i proventi delle sanzioni amministrative relative alla violazione dei limiti e delle modalità previste per la coltivazione/detenzione di cannabis, sono interamente destinati ad interventi informativi, educativi, preventivi, curativi e riabilitativi, realizzati dalle istituzioni scolastiche e sanitarie e rivolti a consumatori di droghe e tossicodipendenti.

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