Maltrattamenti di animali, quando la condotta è penalmente rilevante

Maltrattamenti di animali, codizioni di vita incompatibili con la propria natura e gravi sofferenze.

I casi di dubbia rilevanza penale, il bilanciamento tra esigenze di tutela della violazione del sentimento per gli animali ed esigenze di tutela dell’uomo dalle conseguenze afflittive connesse alla sottoposizione a procedimento penale.

Il reato di maltrattamenti di animali previsto dall’art. 544 ter, c. 1, c.p., inserito nel titolo IX- bis dei delitti contro il sentimento per gli animali, punisce quelle condotte poste in essere per crudeltà (dolo specifico) o senza necessità (dolo generico), consistenti nel causare lesioni ad un animale o nel sottoporre lo stesso a sevizie, comportamenti, fatiche o lavori insostenibili per le sue caratteristiche.

In particolare, va chiarito che per integrare la condotta punita dall’art. 544 ter, c. 1, c.p. non è richiesta la produzione di lesioni fisiche, ma è sufficiente che l’animale abbia subito “sofferenze di carattere ambientale, comportamentale, etologico o logistico, comunque capaci di produrre nocumento agli animali, in quanto esseri senzienti” (Cass. pen., Sez. III, 24 giugno 2015, n. 38789).
Tale ultimo assunto della Corte di Cassazione, è sicuramente emblematico di come sia sempre più avanzata la tutela penale del sentimento di pietà e compassione per la sofferenza degli animali e, quindi, la tutela penale degli animali stessi. Infatti, con la sentenza in argomento la Corte di Cassazione, spingendosi oltre la semplice tutela degli animali da affezione (cani, gatti ed animali da compagnia in generale ovvero destinati ad essere tenuti dall’uomo per fini diversi da quelli produttivi o alimentari), ha ritenuto sussistente il reato di cui all’art. 544 ter c.p. in relazione ad un animale destinato al macello. Si fa riferimento nello specifico al “caso della mucca Doris” che, destinata alla macellazione, impossibilitata a deambulare per le precarie condizioni di salute, è stata sottoposta ad inutili sevizie (bastonata, calpestata, sottoposta a scosse elettriche, caricata a forza sulla pala di un trattore agricolo e gettata all’interno di un camion) da parte delle persone addette al trasporto al macello.

Nel caso di specie, la Suprema Corte non ha ritenuto operativo il disposto di cui all’art. 19 ter disp. coord. c.p. – che sancisce l’inapplicabilità dei reati contro il sentimento per gli animali “ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto, di macellazione degli animali, di sperimentazione scientifica sugli stessi, di attività circense, di giardini zoologici, nonché dalle altre leggi speciali in materia di animali” – in quanto la normativa speciale nel settore della macellazione prevede l’immediato abbattimento e macellazione dell’animale, senza inutili sofferenze.
La giurisprudenza di legittimità, dunque, ha significativamente ridimensionato l’area di operatività dell’art. 19 ter disp. coord. c.p., ritenendo esclusa l’applicabilità delle norme poste a tutela del sentimento per gli animali solo ai casi in cui sia stata pienamente rispettata la normativa speciale di settore.

Orbene, la posizione assunta dalla Cassazione nel “caso della mucca Doris” tiene certamente conto del fatto che la sottoposizione di un animale (seppure destinato a morire) ad inutili ed ingiustificati maltrattamenti suscita nell’uomo sentimenti di pietà e compassione, ancor di più se l’animale è un mammifero e quindi un essere senziente.
Non sempre è però così facile individuare quali siano le condotte effettivamente lesive del bene tutelato dall’art. 544 ter c.p., dal momento che il “sentimento per gli animali”, inteso come diffusa sensibilità verso la sofferenza degli animali, non si presta facilmente ad essere inquadrato all’interno di confini ben definiti e si espone a critiche in relazione alla possibilità di una tutela penale di meri sentimenti.

Si pensi ad esempio ad una recente sentenza del Tribunale di Firenze che nel riconoscere la tutela penale nei confronti di animali non di affezione, ma specificatamente destinati al consumo alimentare (aragoste ed altri crostacei) nell’ambito di un’attività di ristorazione, ha condannato un ristoratore per la contravvenzione di cui all’art. 727, c. 2, c.p. (in forza del quale è punibile chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze) per aver detenuto granchi, aragoste ed un astice, ancora vivi, all’interno di frigoriferi a temperature prossime agli zero gradi centigradi ovvero a temperature molto inferiori a quelle delle acque in cui gli animali vivono in natura e, quindi, in condizioni non solo incompatibili con la loro natura ma anche produttive di gravi sofferenze. In questo caso, il Tribunale di Firenze, nel bilanciamento tra interesse economico ed interesse umano alla non sofferenza dell’animale ha ritenuto prevalente quest’ultimo, non ritenendo però configurato il reato di maltrattamento di animali, poiché il ristoratore non avrebbe agito nel modo sopra descritto per crudeltà o senza necessità, ma solo per indifferenza per le condizioni dei crostacei nella ricerca di un risparmio economico.

In un analogo caso, invece, il Tribunale di Torino, ha ritenuto configurabile il reato di maltrattamento di animali nei confronti di un pescivendolo che esponeva alcuni crostacei, destinati alla vendita, adagiati sul ghiaccio e con le chele legate, pur prosciogliendolo per tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131 bis c.p.p.
Nella fattispecie, il Tribunale di Torino, benché nel corpo motivazionale della sentenza abbia valutato “con stupore” l’impiego di risorse della giustizia a fronte di un episodio bagatellare ed abbia affermato “come non si possa parlare affatto di maltrattamenti voluti a danno degli animali, ma di normali e diffuse tecniche di momentanea conservazione in ghiaccio”, ha poi smentito tali premesse, prosciogliendo l’imputato per la particolare tenuità del fatto, anziché con piena formula assolutoria. Il Tribunale di Torino, infatti, ha valutato il fatto contestato all’imputato come offensivo e penalmente rilevante, giudicandolo comunque non meritevole di sanzione proprio per le modalità della sua esplicazione ed in considerazione della diffusione della momentanea pratica di conservazione dei crostacei.

Ebbene, vicende come quelle appena descritte evidenziano la necessità di definire in modo più chiaro i contorni delle norme poste a tutela degli animali e di trovare un giusto bilanciamento tra l’interesse alla tutela dei sentimenti per gli animali e quello alla tutela dell’individuo da rivendicazioni animaliste che, seppur mosse con le migliori intenzioni, talvolta si trasformano in forme di fanatismo, che non tengono in nessuna considerazione l’esposizione di esseri umani al rischio di essere sottoposti a procedimenti penali ed alle conseguenze afflittive che scaturiscono da essi, ancor prima che dall’applicazione di una eventuale sanzione. A maggior ragione in casi come quelli descritti in cui una sanzione amministrativa potrebbe apparire comunque sufficiente a tutelare il sentimento per gli animali.

Infine, con riferimento ai rapporti fra l’artt. 544 ter e 727, c. 2, c.p. si evidenzia una recente sentenza della Corte di Cassazione (Cass. pen. – sez. III, del 06/10/2015 n. 45691) con la quale si è affermato che la sottoposizione degli animali a comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche non integra il reato dei maltrattamenti; ma ciò non significa che il comportamento dell’imputato possa qualificarsi del tutto lecita. La condotta considerata (ovvero la detenzione di volatili all’interno di gabbie di ampiezza insufficiente, coperti da un velo e senza possibilità di abbeverarsi), infatti, rientra nella fattispecie di cui all’art. 727, secondo comma.
La stessa Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare altresì che “costituiscono maltrattamenti, idonei ad integrare il reato di abbandono di animali, non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione” (Cassazione penale, sez. VII, 10/07/2015,  n. 46560).  In questo caso si era di fronte ad una fattispecie relativa ad animali domestici tenuti in luogo privo di un ricovero adeguato, denutriti, dissetati con acqua piovana e circondati dalle loro feci.
Sulla stessa linea si è espressa recentemente la Corte di Appello di Palermo sostenendo che “la detenzione di animali in stato di sovraffollamento in relazione alle dimensioni e al metraggio dei ricoveri utilizzati e in condizioni igieniche disastrose, quali la convivenza su sostrato di feci solide e liquide, integra il reato di cui all’art. 727 c. 2 c.p., in quanto condotta idonea ad incidere sulla sensibilità dell’animale ed a provocarne dolore“.

 


 

NORMATIVA DI RIFERIMENTO MALTRATTAMENTI DI ANIMALI

Art. 544 ter c.p. Maltrattamento di animali (Libro II – Dei delitti in particolare. Titolo IX bis dei delitti contro il sentimento per gli animali).
Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con multa da 5.000 a 30.000 euro.
La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.
La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale.

Competenza: Tribunale monocratico / Arresto: non consentito /Fermo: non consentito
Custodia cautelare in carcere: non consentita /Altre misure cautelari personali: non consentite /Procedibilità: d’ufficio

Art. 727 c.p. – Abbandono di animali (Libro III – Delle contravvenzioni in particolare. Titolo I – Delle contravvenzioni di polizia)
Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno e con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro.
Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze.

MALTRATTAMENTI DI ANIMALI 

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