L’induzione indebita a dare o promettere utilità
L’induzione indebita a dare o promettere utilità, quale ipotesi residuale di responsabilità penale; i rapporti con il reato di concussione; il principio di successione di leggi penali nel tempo.
Nel corso del mio primo anno di pratica forense, ho avuto modo di studiare le fattispecie penali di concussione (art. 317 c.p.) e di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319 quater c.p.), nell’ambito di un procedimento penale a carico di un deputato dell’Assemblea Regionale Siciliana, accusato di aver, in concorso con un soggetto privato, separatamente giudicato, intimato all’amministratore unico di una società operante nel settore del fotovoltaico, di consegnare una certa somma di denaro contante (parte della quale è stata effettivamente versata), altrimenti non avrebbe mai più lavorato nel settore del fotovoltaico. Il fatto delittuoso sarebbe stato commesso in data 1.3.2011.
La procura della Repubblica ha chiesto il rinvio a giudizio dell’indagato per aver commesso il reato di concussione ex art. 317 c.p.. Tuttavia, il giudice di primo grado ha ritenuto di dover riqualificare il fatto storico come induzione indebita ex art. 319 quater c.p. (v. la sentenza integrale – non definitiva – emessa dal Tribunale di Palermo, sez. III, n.1095/2015 nel procedimento a carico dell’On. Vitrano Gaspare).
Il reato di induzione indebita è stato introdotto con la legge n. 190 del 6 novembre 2012, recante “Disposizioni per la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”. Come si evince dal titolo, il legislatore è intervenuto sulla disciplina codicistica relativa ai reati contro la Pubblica Amministrazione, al fine di potenziare gli strumenti di prevenzione dei fenomeni corruttivi.
Nello specifico, la novella legislativa, da un lato, ha eliminato dal reato di concussione l’ipotesi di concussione per induzione, dall’altro, ha dato rilevanza alla condotta induttiva nella nuova fattispecie criminosa di induzione indebita.
Entrambe le fattispecie incriminatrici tutelano il buon andamento e l’imparzialità dell’attività amministrativa, così come richiesto dall’art. 97 Cost.
Inoltre, l’art. 317 c.p. protegge anche l’interesse del soggetto privato a non subire danni ingiusti per l’abuso di potere da parte del soggetto pubblico.
Quanto al profilo soggettivo, si tratta di reati “propri”, perchè possono essere commessi esclusivamente da soggetti che rivestano la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, ma a differenza del delitto di concussione, la fattispecie di induzione indebita estende la punibilità anche al soggetto privato che abbia dato o promesso al pubblico agente, denaro o altra utilità. In questi casi, il destinatario della condotta induttiva vestirà i panni del correo e non più della persona offesa.
Quanto, invece, all’elemento soggettivo, si ritiene che per entrambi i delitti è richiesto il dolo generico, che consiste nella rappresentazione del metus da parte dell’agente. Il soggetto pubblico deve agire, nella consapevolezza che la sua qualifica lo pone in una situazione di supremazia nei confronti del destinatario della sua condotta illecita.
In sintesi, le due figure delittuose si distinguono, in primo luogo, per l’elemento oggettivo: condotta costrittiva nel reato di concussione e condotta induttiva nel reato di induzione indebita. In secondo luogo, perché solo nel caso di induzione indebita il soggetto privato è penalmente perseguibile in qualità di correo del soggetto pubblico, autore della condotta induttiva. In terzo luogo, per il trattamento sanzionatorio: il reato di concussione è punito con una pena edittale massima più elevata.
Quindi, la linea di confine tra le due fattispecie si rinviene nella distinzione tra condotta costrittiva e condotta induttiva.
L’individuazione del criterio discretivo tra le due diverse condotte non è stata un operazione semplice per la Giurisprudenza, la quale ha elaborato numerosi orientamenti sino all’intervento delle Sezioni Unite con la sentenza n. 12228 del 2013.
Secondo un primo orientamento, il legislatore del 2012 ha semplicemente sdoppiato l’unica figura di concussione disciplinata dal testo ante riforma dell’art. 317, senza aggiungere ulteriori elementi descrittivi alla condotta induttiva che integra il reato di induzione indebita. Sicchè, l’elemento distintivo deve rinvenirsi nella diversa modalità di condotta dell’agente: il concetto di costrizione presuppone una minaccia, quello di induzione, invece, un comportamento di persuasione, suggestione o di inganno.
Un secondo orientamento, individua la linea di discrimine tra le due ipotesi delittuose nell’oggetto della prospettazione: danno ingiusto e contra ius nella concussione, danno legittimo e secundum ius nell’induzione indebita. A supporto di questa tesi, si osserva, da un lato, che è del tutto ragionevole la più severa punizione dell’agente pubblico che (nella concussione) prospetta un danno ingiusto, e non già, come nell’induzione indebita, una conseguenza sfavorevole derivante dall’applicazione della legge (c.d. danno giusto); dall’altro lato, si rileva come fosse parimenti ragionevole punire il privato nella sola ipotesi (induzione indebita) in cui, aderendo alla pretesa dell’indebito avanzata dall’agente, persegua un tornaconto personale (evitare un danno giusto).
Infine, secondo ultimo orientamento, la condotta induttiva, a differenza di quella costrittiva, si caratterizza perché consente al soggetto privato di mantenere un significativo margine di autodeterminazione e questo effetto si produce o perché il soggetto pubblico ha agito con forme di pressione più blanda o perché gli è stato prospettato un vantaggio indebito. Invece, la condotta costrittiva non lascia libertà di determinazione al suo destinatario, il quale decide, senza che gli sia stato prospettato un vantaggio, di dare o promettere denaro o altra utilità per evitare un danno ingiusto.
Infine, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute nel 2013 con la sentenza n. 12228.
Anzitutto, le Sezioni Unite hanno chiarito che vi è continuità normativa tra il delitto di concussione induttiva di cui al previgente art. 317 c.p. ed il nuovo reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all’art. 319 quater c.p. introdotto dalla legge n. 190 del 2012, tenuto conto che l’ampliamento della punibilità anche al soggetto indotto non ha mutato la struttura dell’abuso induttivo. Pertanto, ai fatti di concussione per induzione commessi prima della novella legislativa, si applicherà, ex comma 4 dell’art. 2 c.p., il trattamento sanzionatorio più favorevole previsto dall’art. 319 quater c.p.
Quanto al criterio differenziale tra condotta costrittiva e induttiva, le Sezioni Unite hanno affermato che, a seguito della riforma legislativa del 2012, il reato di concussione è integrato da una condotta del soggetto pubblico che si realizza mediante violenza o minaccia di un danno ingiusto e contra ius. A causa della intensa condotta prevaricatrice, la libertà di determinazione del soggetto privato è gravemente limitata, avendo due alternative: scegliere se subire un danno ingiusto e contra ius ovvero evitare il danno prospettato pagando o promettendo denaro o altra utilità al pubblico agente o ad un terzo.
Al contrario, il reato di induzione indebita, dal punto di vista oggettivo, è caratterizzato da una condotta di persuasione, soggezione posta in essere dal pubblico ufficiale nei confronti del soggetto privato, il quale però conserva una maggiore libertà di determinazione e decide di aderire perché gli è stato prospettato un tornaconto personale che lo alletta. Per questo motivo, il legislatore ha ritenuto di dover estendere la punibilità anche al soggetto privato indotto.
Ciò che si rimprovera al privato, punendolo, è di avere approfittato dell’abuso del p.u. per perseguire un proprio vantaggio: “è proprio il vantaggio indebito che, al pari della minaccia tipizzante la concussione assurge al rango di criterio di essenza della fattispecie induttiva, il che giustifica…la punibilità dell’indotto”.
Nell’individuare questo criterio, le S.U. hanno guardato alla ratio della riforma del 2012, individuandola nella finalità di “chiudere ogni possibile spazio d’impunità al privato, non costretto ma semplicemente indotto” a dare o a promettere indebitamente, al pubblico ufficiale, denaro o altra utilità per intensificare la lotta ai reati contro l’amministrazione pubblica.
Nel procedimento penale di cui sopra, il Giudice di prime cure richiama questo orientamento giurisprudenziale pervenendo alla conclusione che i fatti, oggetto di accertamento penale, commessi dall’imputato integrano il reato di induzione indebita e non di concussione. Per questo motivo, ha condannato l’imputato a sette anni di reclusione, mentre ha chiarito di non potersi procedere nei confronti del soggetto privato, poiché il fatto è stato commesso prima dell’entrata in vigore della legge 190 del 2012, quando ancora nel nostro ordinamento il soggetto privato non era punibile. Infatti, nel caso di specie, la nuova fattispecie di induzione indebita può trovare applicazione solo nei confronti dell’imputato, in quanto norma più favorevole e non nei confronti del soggetto privato, rispetto al quale la norma non è certo applicabile retroattivamente ex art. 2 c.p., comma 1.
Inoltre, il giudice di primo grado ha ritenuto di non dover riconoscere alcun risarcimento del danno alla persona offesa costituita parte civile.
Nel fare ciò, il giudice si è scostato dall’orientamento della Corte di cassazione secondo il quale “la riqualificazione, a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 190 del 2012, del delitto di concussione in quello di induzione indebita non fa venir meno il diritto alla restituzione e al risarcimento del danno a favore di colui che, al momento della commissione del fatto, era da considerarsi persona offesa dal reato”.
Alla base di questa statuizione, vi è il principio secondo cui quando un fatto costituisce illecito civile nel momento in cui è stato commesso, su di esso non influiscono le successive vicende riguardanti la punibilità del reato ovvero la rilevanza penale di quel fatto.
Come è noto, questo principio è stato affermato per la prima volta in materia di abolitio criminis. Pertanto, secondo la Corte di Cassazione “a maggior ragione deve trovare applicazione nelle fattispecie in cui il reato permane, ma coinvolge anche uno dei soggetti che prima della modifica non era punibile e che rivestiva la posizione di persona offesa. Sotto un altro aspetto sarebbe ingiustificato operare una valutazione complessiva dell’art. 319 quater c.p., come legge più favorevole per l’imputato, in ragione del fatto che in essa il concusso non riveste più il ruolo di persona offesa e, per l’effetto escludere il diritto al risarcimento del danno provocato all’epoca dal reato”.
Pertanto, stando a questo indirizzo giurisprudenziale, nel riqualificare la fattispecie in contestazione come induzione indebita, il giudice di prime cure avrebbe comunque dovuto far salvo il riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni alla costituita parte civile. Invece, il giudice non lo ha ritenuto condivisibile in quanto, a suo dire, in contrasto con la ratio della novella legislativa del 2012 -“(…) il giudicante non può non tener conto della decisione del legislatore di attribuire un disvalore, che non è e non può essere solo penale, alla condotta della originaria persona offesa, trasformata, di fatto, in correo del pubblico ufficiale”.
Così facendo, il giudice sembra aver applicato in toto l’art. 319 quater, prevedendo da un lato, un trattamento più favorevole per l’imputato e dall’altro – non potendo, in forza del divieto di retroattività della norma penale di cui all’art. 25, comma 2 Cost., riconoscere una responsabilità penale in capo alla parte civile – una conseguenza non favorevole per la persona offesa, ovvero il mancato riconoscimento del risarcimento dei danni. Mentre, come sottolineato dalla Corte di Cassazione, nei casi di successione di leggi, il giudice può solo applicare la novella più favorevole per l’imputato, fatte salve le statuizioni civili.