Il leasing abitativo

Leasing abitativo: perché “acquistare” una casa senza esserne proprietari?

Il leasing c. d. “abitativo” è stato introdotto di recente dal nostro legislatore con l’art. 1, commi da 76 a 81, della legge di stabilità 2016 (Legge 28 dicembre 2015, n. 208).

Il contratto di locazione finanziaria di immobile da adibire ad abitazione principale viene definito dallo stesso legislatore come quel contratto attraverso il quale una banca, o un intermediario finanziario, si obbliga ad acquistare o a far costruire un immobile (da adibire ad abitazione principale) su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore mettendolo a disposizione per un dato periodo di tempo verso un determinato corrispettivo che tenga conto del prezzo di acquisto o di costruzione nonché della durata del contratto. Viene infine prevista la facoltà per l’utilizzatore, alla scadenza del contratto, di acquistare la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito.

Prima della novella legislativa il leasing immobiliare poteva aver ad oggetto esclusivamente beni a destinazione produttiva. Un simile risultato poteva esser raggiunto mediante una serie di negozi collegati. Tuttavia, il legislatore ha inteso disciplinare in modo più puntuale un’operazione negoziale consolidata nella prassi.

Il leasing abitativo, nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe inserirsi nel nostro panorama ordinamentale quale valida alternativa per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale al fine di rivitalizzare il mercato immobiliare.

Da sempre il legislatore ha avuto quale obiettivo, perlomeno dichiarato, quello di agevolare i cittadini nell’acquisto della propria abitazione e negli anni ha introdotto parecchie norme, prevalentemente di natura fiscale, contenenti una disciplina volta ad incentivare l’acquisto della c.d. “prima casa”.

Ad oggi non è possibile prevedere quali risvolti avrà un simile modello nel mercato immobiliare.

Tuttavia è lecito chiedersi se tale strumento sia effettivamente un’alternativa vantaggiosa per i cittadini ovvero sia un ulteriore “regalo” per le banche, sempre restie a concedere credito ai clienti e sempre alla ricerca di maggiori garanzie.

Come ogni contratto di leasing, lo scopo prevalente del negozio può essere rinvenuto nel finanziamento da parte di un istituto di credito ad un soggetto (l’utilizzatore) il quale intende godere di un determinato bene.

Nel leasing abitativo, l’utilizzatore è “libero” di scegliere quale immobile acquistare o far costruire e la banca procederà all’acquisto. Il godimento spetterà all’utilizzatore a fronte della corresponsione periodica di una somma di denaro.

Tralasciando i vantaggi di natura fiscale previsti in caso di leasing, la maggiore attrattiva di un simile contratto è rinvenibile nella previsione legislativa della facoltà per l’utilizzatore, alla scadenza del contratto, di acquistare la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito. Quanto corrisposto durante il contratto, infatti, sarà tenuto in considerazione nella determinazione del prezzo da corrispondere alla fine del contratto per acquisire la proprietà del bene.

Un simile contratto potrebbe a prima vista sembrare estremamente vantaggioso per il consumatore.

L’utilizzatore infatti, pur non disponendo della somma necessaria per l’acquisto dell’immobile, potrà goderne fin da subito e quanto da lui pagato non andrà del tutto “perduto”.

È inoltre prevista la possibilità di richiedere la sospensione del pagamento dei corrispettivi periodici (per non più di una volta e per un periodo massimo di dodici mesi) in caso di perdita del posto di lavoro (salvo quanto disposto dai commi 79 e 80).

Non bisogna tuttavia farsi trasportare dall’entusiasmo. Il leasing abitativo potrebbe infatti rivelarsi pieno di insidie per il consumatore.

In particolare, il comma 78 prevede che, in caso di risoluzione del contratto di locazione finanziaria dovuta al mancato pagamento dei canoni da parte dell’utilizzatore, la banca ha diritto alla restituzione del bene che sarà dalla stessa venduto “a prezzo di mercato” e che dovrà corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita dedotta la somma dei canoni scaduti e non pagati, dei canoni a scadere e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto.

Il risultato finale di una simile operazione non è detto che sia di importo positivo, considerate le oscillazioni del mercato immobiliare e l’interesse della banca di monetizzare al più presto. In tal caso al consumatore nulla sarà dovuto e, inoltre, qualora il prezzo di vendita fosse inferiore alla somma dei canoni non pagati e del prezzo dell’opzione, l’utilizzatore sarà tenuto a corrispondere tale differenza al finanziatore, ritrovandosi pertanto senza casa e con un debito.

Considerato inoltre che, per espressa previsione legislativa, tutti i rischi relativi al perimento del bene sono sopportati dall’utilizzatore benché la proprietà sia della Banca (similmente a quanto accade in caso di vendita con riserva della proprietà), lo squilibrio delle posizioni contrattuali risulta evidente.

È prevedibile che in futuro gli istituti di credito saranno molto più propensi, in luogo della concessione di una somma a mutuo, a procedere alla stipula di un contratto di leasing abitativo. La banca infatti, in una simile ipotesi, è maggiormente garantita in caso di mancato pagamento del “canone” poiché non avrà una semplice ipoteca bensì sarà proprietaria dell’immobile e, inoltre, non dovrà attendere i lunghi procedimenti dell’esecuzione immobiliare in quanto potrà procedere allo sfratto dell’inquilino, vendere essa stessa l’immobile prima possibile e, qualora la somma ricavata non fosse sufficiente ad estinguere il debito dell’utilizzatore, escutere con le ordinarie vie il residuo patrimonio del consumatore.

Non è ancora possibile valutare i risvolti pratici di un simile schema contrattuale. Solo con il tempo, infatti, sarà possibile valutare a pieno l’incidenza e l’efficacia di un simile modello contrattuale. È lecito sperare che le banche, di fronte alle maggiori garanzie discendenti dall’esser proprietari dell’immobile, richiedano garanzie reddituali minori rispetto a quelle normalmente richieste per l’erogazione di un mutuo.

 

 

 

 

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