famiglia di fatto e danno non patrimoniale

Famiglia di fatto e danno non patrimoniale. I presupposti per accedere al risarcimento.
La recente decisione della Suprema Corte.

Un tema molto dibattuto e attuale è quello del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. in capo al convivente more uxorio.

In termini generali è bene ribadire che un danno non patrimoniale è risarcibile  quando:
(a) sia stato leso un interesse non patrimoniale della persona;
(b) l’interesso leso sia “preso in considerazione” dall’ordinamento;
(c) ricorra una delle ipotesi in cui la legge consente il risarcimento del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.);
(d) la lesione dell’interesse sia stata di entità tale da superare la “soglia minima” di tollerabilità.

Il caso che oggi si prende in esame riguarda la morte, a seguito di un sinistro stradale, del figlio della propria compagna. La Suprema Corte –  a riguardo – ha recentemente affermato che il compagno della madre della vittima può essere risarcito del danno non patrimoniale sofferto solo se viene provata una convivenza duratura.

Solo in tal caso, infatti, il vincolo affettivo tra il figlio ed il compagno del genitore può acquisire rilevanza per l’ordinamento giuridico, venendosi in tal modo a costituire quella «formazione sociale» oggetto di tutela da parte dell’art. 2 Cost., idonea a giustificare un obbligo di tipo risarcitorio.
In altri termini, il risarcimento del danno iure proprio, si configura esclusivamente in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo con la vittima, in quanto in assenza di ciò non potrebbe dirsi integrato il requisito dell’ingiustizia del danno.

Una famiglia di fatto, ovviamente, non sussiste sol perchè delle persone convivano. La sussistenza di essa può desumersi solo da una serie cospicua di indici presuntivi: la risalenza della convivenza, la diuturnitas delle frequentazioni, il mutuum adiutorium, l’assunzione concreta, da parte del genitore de facto, di tutti gli oneri, i doveri e le potestà incombenti sul genitore de iure.

Questi principi sono desumibili, oltre che dalla costante giurisprudenza di questa Corte, anche dalla giurisprudenza costituzionale e da quella della Corte Europea dei diritti dell’uomo.
Quest’ultima infatti, chiamata a stabilire come dovesse interpretarsi la nozione di diritto alla vita familiare di cui all’art. 8 CEDU, da un lato ha chiarito che in tale nozione rientrano anche i rapporti di fatto tra un minore e il compagno del genitore di quegli (Corte EDU, 19.2.2013, n.n. c. Austria, 96), ma dall’altro lato ha soggiunto che “la nozione di “vita familiare” ai sensi dell’art. 8 CEDU può comprendere relazioni familiari de facto, purchè ricorrano un certo numero di elementi, quali il tempo vissuto insieme, la qualità delle relazioni, nonchè il ruolo assunto dall’adulto nei confronti del bambino” (Corte EDU CEDU 27.4.2010, Moretti e Benedetti c. Italia, 48)“.

v. Cassazione civile, sez. III, 21/04/2016, n. 8037

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