Il danno permanente futuro e i critiri di liquidazione

Danno permanente futuro e “passato”, il modo corretto per quantificare il risarcimento. Il vizio di omessa motivazione.
Le recenti statuizioni della Corte di Cassazione.

Il danno permanente futuro consistente nella necessità di dovere sostenere una spesa periodica vita natural durante, collegato ad una condotta colposa o dolosa altrui che ha dato causa all’evento dannoso.

Nel caso de quo, in seguito ad un sinistro stradale che coinvolgeva una moto di grossa cilindrata e un furgone, il centurione subiva gravissime lesioni personali.
Lo stesso, unitamente ai suoi familiari (la moglie e il figlio), proponeva un giudizio per il risarcimento dei danni, ritenendo che l’incidente andasse imputato alla responsabilità colposa del guidatore del furgone.
I giudici di merito, accogliendo parzialmente la domanda, riconoscevano un concorso di responsabilità del convenuto, pari al 50%.

Sia in I che in II grado i Giudici riconoscevano alla vittima una cospicua liquidazione del danno per spese mediche e di assistenza futura, per acquisto di macchinari terapeutici, per l’acquisto d’una automobile adatta alle sue condizioni, e per la ristrutturazione dell’abitazione. Nella decisione, però, non si faceva alcun cenno circa i criteri a cui si era isprirata la Corte nella determinazione del danno.

La sentenza della Corte d’Appello veniva, quindi, impugnata da parte della compagnia di assicurazione per mancanza (totale) di motivazione con riferimento alla quantificazione del danno.

La Corte di Cassazione, sez. III, con la recentissima sentenza del 20 aprile 2016 (la n.7774), ha accolto il ricorso e cassato con rinvio la sentenza di appello.

I giudici hanno, in primo luogo, richiamato la decisione delle Sezioni Unite n. 8053 del 07/04/2014, in forza della quale <<è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”>> (considerata la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi).

Sulla base di tale assunto, la Corte di Cassazione ha precisato che la liquidazione dei danni futuri consistenti nelle spese che la vittima di un incidente stradale dovrà sostenere per la collaborazione di terzi nelle faccende domestiche e personali, anche quando avviene in via equitativa, obbliga il giudice “ad indicare, sia pure sommariamente, i criteri adoperati, in modo da evitare che la decisione sia arbitraria e sottratta ad ogni controllo” (v. a riguardo, anche la Sent., Cass., Sez. 3, n. 752 del 23/01/2002), cosa che in questo caso non era stata fatta dalla Corte di Appello.

Inoltre, i giudici della Suprema Corte hanno proceduto a indicare i critieri in base ai quali va determinato il c.d. danno permanente, distinguendo il danno passato pemanente dal danno futuro permanente.

La Corte, infatti, ha precisato che “se l’esigenza di retribuire un terzo per l’assistenza domestica è sorta prima del momento della liquidazione, al momento in cui quest’ultima avviene il giudice dovrà monetizzare sia un danno già verificatosi (quello maturato tra il sinistro e la liquidazione), sia un danno che si verificherà nel futuro (quello che verosimilmente maturerà a partire dal momento della liquidazione in poi)”.

A) Il danno permenente futuro.

La liquidazione del danno patrimoniale permanente futuro può avvenire, ai sensi dell’art. 2056 c.c., sulla base dell’id quod plerumque accidit, di fatti notori e di massime di esperienza. Tra questi, rientra certamente quella secondo cui, chi non è in condizioni di provvedere alle proprie esigenze personali, normalmente ricorre all’ausilio di un infermiere o di un assistente.

Nel liquidare il danno patrimoniale permanente patito dalla vittima, consistente nelle spese per l’assistenza domiciliare, è necesarrio tener conto dell’incidenza delle provvidenze accordate alla vittima dal sistema sanitario nazionale e regionale, ed anche di qualsiasi emolumento previdenziale o indennitario (quale ad esempio, la corrisponsione della c.d. indennità di accompagnamento).
Non è corretta, invece, la derminazione del danno facendo semplice riferimento al costo annuo dell’assistenza domiciliare di cui la vittima avrebbe avuto bisogno, moltiplicato per un numero di anni pari alla differenza tra la durata media della vita e l’età della vittima al momento del sinistro.
In primo luogo, perchè è errato liquidare il danno, dopo anni del sinistro, come se esso fosse avvenuto in quel momento.
A riguardo è necessario distinguere le poste già maturate (danno passato) da quelle ancora da maturare (danno futuro).

Inoltre, per compensare lo scato temporale tra il momento di scadenza dell’obbligazione risarcitoria (oggi) e il momento di avveramento del danno (che si produce di giorno in giorno), quando non si opti per la liquidazione in forma di rendita (art. 2057 c.c.), sono possibili teoricamente due sistemi.

— Il primo consiste nel sommare tutti i danni che la vittima patirà tra il momento della liquidazione e il momento futuro in cui il pregiudizio sarebbe comunque cessato (nel nostro caso, la morte naturale per vecchiaia), e moltiplicare il risultato per un saggio di sconto, al fine di tenere conto dell’anticipato pagamento, che farebbe arricchire la vittima del c.d. “montante di anticipazione”.

— Il secondo criterio, invece, consiste nel moltiplicare il danno annuo patito dalla vittima (debitamente rivalutato all’epoca della liquidazione) per un “numero” che tenga già conto del montante di anticipazione.

Questo “numero” è detto coefficiente di capitalizzazione, semplifica l’operazione di liquidazione consentendo un solo passaggio anzichè due.

B) Il danno permenente passato.

La liquidazione del danno patrimoniale passato, invece, può avvenire anch’essa in via equitativa, ex artt. 1226 e 2056 c.c., ove ne ricorrano i presupposti (ovvero l’impossibilità della stima del danno nel suo esatto ammontare). Tuttavia, trattandosi di un pregiudizio che si assume già avvenuto, il giudice non può prescindere dall’accertarne la concreta sussistenza, senza potere ricorrere a “ragionevoli previsioni”, consentite per quanto detto solo con riferimento al danno futuro.

Pertanto, quando si tratti liquidare un danno passato permanente che si assuma essere consistito nella necessità di una spesa periodica per assistenza, delle due l’una: o il danneggiato dimostra di averla sostenuta (anche attraverso presunzioni semplici, ex art. 2727 c.c.), oppure nessuna liquidazione può essere consentita. Il danno per spese di assistenza, infatti, quando si assuma essere già maturato al momento della liquidazione, è rappresentato dalla spesa sostenuta, non dalla necessità di sostenerla.

Dunque il danneggiato che, pur avendone bisogno, rinunci ad una assistenza domiciliare e non sostenga la relativa spesa, non può pretendere alcun risarcimento del danno patrimoniale emergente passato, per la semplice ragione che il suo patrimonio non si è ridotto.

Va da sè che la rinuncia ad una assistenza domiciliare, specie se forzosa perchè – ad esempio – indotta dalle precarie condizioni economiche della vittima, può causare disagi, ma questi dovranno essere valutati sotto il profilo del danno non patrimoniale: profilo che nel presente giudizio non risulta essere mai stato prospettato.

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