contravvenzioni stradali e tenuità del fatto

Particolare tenuità del fatto: l’applicabilità alle contravvenzioni stradali.
Le sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione.

Le Sezioni Unite con le sentenze nn. 13681 e 13682 del 25 febbraio 2016, si sono pronunciate in ordine al quesito, posto con le ordinanze di rimessione nn. 49824 e 49825 del 3 dicembre 2015, concernente: la possibilità di applicare la nuova causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.) alle fattispecie contravvenzionali di cui all’art. 186, commi 2 e 7, Codice della Strada, che puniscono rispettivamente le condotte di guida in stato di ebbrezza alcolica -corrispondente a quantità di alcool nel sangue superiori a 0,8 g/l, per la lettera b) e 1,5 g/l per la lettera c) – e di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici, previsti dai commi 3, 4 e 5 della medesima norma.

Va detto, sin da subito, che le Sezioni Unite si sono espresse favorevolmente in ordine all’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. alle suddette fattispecie contravvenzionali, enucleando il seguente principio di diritto: “essendo in considerazione la caratterizzazione del fatto storico nella sua interezza, non si dà tipologia di reato per la quale non sia possibile la considerazione della modalità della condotta ed in cui sia quindi inibita ontologicamente l’applicazione del nuovo istituto”.
In particolare, nell’affrontare il quesito prospettato con le ordinanze di rimessione, in entrambe le pronunce sopra richiamate – sostanzialmente identiche nel contenuto – sono state preliminarmente riassunte le perplessità espresse dalla sezione rimettente.

— Nella fattispecie, con riferimento al reato di guida in stato di ebbrezza, la Quarta Sez. Pen. della Corte di Cassazione, aveva mosso i seguenti rilievi critici in ordine all’applicabilità dell’istituto della particolare tenuità:
a) disparità di trattamento tra i soggetti rei della condotta di cui all’art. 186, comma 2, lett. a) Codice della Strada e quelli rei delle condotte di cui alle lettere b) e c) della stessa norma. Infatti, colui che venisse colto alla guida in un minimo stato di ebbrezza, compresa tra gli 0,5 e gli 0,8 g/l, sarebbe sottoposto ad una sicura sanzione amministrativa, mentre i conducenti sorpresi con un tasso alcolico penalmente rilevante, potrebbero sfuggire ad ogni sanzione mediante l’applicazione dell’art. 131 bis c.p.;
b) assenza di parametri, cui ancorare il giudizio di tenuità, diversi dal dato quantitativo di superamento delle soglie di tasso alcolico sopra indicate. In altri termini, il giudice non può sostituirsi al legislatore, il quale, con la previsione delle progressive soglie di punibilità avrebbe già effettuato una valutazione di maggiore o minore pericolosità delle condotte di cui alle lettere a), b) e c) dell’art. 186, comma 2, individuando una connotazione di tenuità soltanto con riferimento alle condotte punite con la sola sanzione amministrativa;
c) irrilevanza delle concrete modalità delle condotte di guida e non ipotizzabilità di una eventuale valutazione della gradualità dell’offesa, dal momento che il legislatore ha previsto due circostanze aggravanti (la guida in orario notturno e la causazione di un incidente stradale) a tutela delle fattispecie concrete, caratterizzate da maggior allarme sociale;
d) impossibile applicazione delle sanzioni amministrative nei casi di pronuncia di assoluzione per particolare tenuità del fatto, visto l’insuperabile dato testuale dell’art. 186 comma 2 quater C.d.S., che postula l’applicazione di dette sanzioni soltanto in caso di sentenza di condanna o applicazione della pena.

— Con riferimento al rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici, invece, la Quarta Sez. Pen. della Corte di Cassazione, aveva mosso i seguenti rilievi critici in ordine all’applicabilità dell’istituto della particolare tenuità:
a) impossibilità di procedere ad una graduazione dell’offensività nel senso richiesto dall’art. 131 bis c.p., dal momento che il reato in oggetto è un reato istantaneo;
b) l’istituto della particolare tenuità richiederebbe una valutazione della sola condotta, non consentendo di apprezzare se la stessa abbia dato luogo o meno ad una situazione concretamente pericolosa;
c) il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice dovrebbe individuarsi nel regolare andamento dei controlli di polizia ed, in ordine a tale bene, non sarebbe ipotizzabile alcuna graduazione dell’offesa.

Orbene, le Sezioni Unite, superando i rilievi critici sopra individuati, hanno preliminarmente affrontato la questione relativa all’applicabilità del nuovo art. 131 bis c.p. nell’ambito del giudizio di legittimità. In tal senso, poiché la nuova norma costituisce un’innovazione di diritto sostanziale in termini più favorevoli per il reo, secondo quanto statuito dalla Corte, il giudice è obbligato ad applicare la lex mitior anche nel corso del giudizio di legittimità. In particolare, con riferimento alle fattispecie, già definite in fase di appello, prima dell’entrata in vigore dell’istituto della particolare tenuità, la Corte di Cassazione avrà pieno titolo di pronunciarsi e potrà anche pervenire ad una sentenza di annullamento senza rinvio, qualora ravvisasse, nella motivazione della sentenza impugnata, gli estremi per l’applicabilità del predetto istituto.

Proseguendo oltre, le Sezioni Unite, hanno specificato come il dato normativo del nuovo art. 131 bis c.p. investa il giudice di effettuare una “valutazione complessa che ha a oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, c.p.”. Il giudice, in altre parole, non deve limitarsi semplicemente a valutare l’offensività della condotta e, quindi, la quantità di aggressione al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, ma deve estendere la sua valutazione all’esame di tutte le peculiarità della concreta fattispecie di reato.

Secondo la Corte, dunque “non esiste un’offesa tenue o grave in chiave archetipica; è la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore”. Bisogna, pertanto, operare una distinzione tra fatto tipico di reato e fatto storico, al fine di valutare la particolare tenuità, dal momento che è solo il fatto storico ad assumere rilevanza in ordine al giudizio di tenuità di cui all’art. 131 bis c.p. Del resto, affermano le Sezioni Unite, se così non fosse, sovrapponendo impropriamente il fatto tipico di reato con il fatto storico, si finirebbe per giungere alla paradossale inapplicabilità dell’istituto della particolare tenuità anche alla categoria dei c.d. reati bagatellari, spesso caratterizzati dalla mera omissione di una prescrizione.

Ancora, la Corte di Cassazione ha precisato come la valutazione richiesta dall’art. 131 bis c.p. debba essere necessariamente ancorata agli indicatori relativi: alla condotta ed alle modalità di estrinsecazione della stessa; alla colpevolezza e, quindi, all’intensità del dolo ed al grado della colpa; all’entità del danno o del pericolo ovvero alle conseguenze dannose o pericolose della condotta di reato posta in essere. Secondo le Sezioni Unite, quindi, “emerge un dato di cruciale rilievo, che deve essere con forza rimarcato: l’esiguità del disvalore è frutto di una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno e alla colpevolezza”.

La Corte, infine, a conclusione del suo iter argomentativo, applicando le considerazioni sopra esposte alle fattispecie contravvenzionali di cui si tratta nel caso di specie, in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza, ha statuito che:
— non si può trarre in astratto alcuna conclusione, senza considerare le peculiarità del caso concreto, sebbene sia ovvio che un ampio superamento delle soglie di rilevanza penale, tendenzialmente, potrebbe portare ad escludere la configurabilità dell’istituto della particolare tenuità;
— non vi è alcuna disparità di trattamento tra le fattispecie penali di cui alle lettere b) e c) dell’art. 186, comma 2, C.d.S. e l’illecito amministrativo di cui alla lettera a) della medesima norma. Ciò, non solo in quanto “l’illecito penale e quello amministrativo presentano differenze tanto evidenti e rilevanti, che delineano autonomi statuti”, ma anche perché “la pena costituisce sanzione specialmente afflittiva e reca comunque un peculiare stigma”. Per tale motivo sarebbe del tutto giustificato subordinare l’inflizione della sanzione penale ad una “speciale considerazione ispirata (…) dalla valutazione in ordine alla sua concreta necessità”;
— le sanzioni amministrative accessorie per la guida in stato di ebbrezza sono applicabili anche in caso di riconoscimento della causa di esclusione della punibilità. Infatti, secondo la Corte di Cassazione, gli artt. 224 e 224 ter del C.d.S. – che disciplinano le sanzioni amministrative e si occupano anche dei casi di estinzione del reato per cause diverse dalla morte dell’imputato, disponendo che in tali circostanze sia la pubblica amministrazione ad applicare le sanzioni amministrative accessorie al reato di guida in stato di ebbrezza – devono ritenersi valide anche nel caso in oggetto.

Non di meno, con riferimento al reato di rifiuto di sottoporsi a test alcolimetrici, le Sezioni Unite hanno statuito che, poiché il suddetto reato sanziona il rifiuto di sottoporsi a test volti ad accertare lo stato di ebbrezza rilevante al fine della configurabilità del reato di cui al secondo comma dell’art. 186 C.d.S., bisogna tenere conto dell’intimo intreccio tra le due fattispecie contravvenzionali. Ciò in quanto la contravvenzione di cui all’art. 186, comma 7, C.d.S. “non punisce una mera, astratta disobbedienza, ma un rifiuto connesso a condotte di guida indiziate di essere gravemente irregolari e tipicamente pericolose”.

Alla luce di ciò, è necessario vagliare attentamente le modalità del rifiuto ed il contesto in cui lo stesso si estrinseca, in quanto “non è certo indifferente, nella ponderazione del fatto e del bisogno di pena, se un comportamento che si estrinseca in un mero rifiuto sia accompagnato da manifestazioni di irriguardosa e violenta opposizione o sia invece dovuto ad una non completa comprensione del contesto, ovvero a concomitanti esigenze personali socialmente apprezzabili”.

Riepilogando, dunque, alcuni dei principi generali enucleati dalle Sezioni Unite nelle pronunce in oggetto, va rilevato che:
– “L’art. 131 bis c.p. si applica ad ogni fattispecie criminosa, in presenza dei presupposti e nel rispetto dei limiti fissati dalla medesima norma”;
– “Alla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto consegue l’applicazione, demandata al Prefetto, delle sanzioni amministrative accessorie stabilite dalla legge”;
– “La Corte di Cassazione, se riconosce la sussistenza di tale causa di non punibilità, la dichiara d’ufficio ex art. 129, comma 1, c.p.p., annullando senza rinvio la sentenza impugnata a norma dell’art. 620, comma 1, lett. l) cod. proc. pen.”.

v. i riferimenti normativi

 

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