la comunione legale dei beni
Il regime della comunione legale dei beni fra i coniugi. la responsabilità per debiti personali di uno dei coniugi.
In riferimento al regime patrimoniale della famiglia il nostro ordinamento consente ai coniugi di scegliere il regime che intendono adottare per il menage familiare, prevedendo in caso di mancata scelta l’adozione del regime patrimoniale della comunione legale, regolamentato con la Legge n. 151 del 1975.
Contrariamente da quella ordinaria, la comunione legale è rivolta a tutelare il patrimonio di una famiglia e non può essere assimilata alla comunione ordinaria, sia perché generalmente s’instaura automaticamente all’atto stesso del matrimonio (salvo diversa volontà dei coniugi), sia perché i beni che vi ricadono sono tassativamente indicati negli artt. 177 e 178 c.c., rimanendo invece esclusi quelli elencati nell’art. 179 c.c.
La comunione ha natura mutevole, in quanto resta in costante aggiornamento poiché riguarda gli acquisti futuri che i coniugi effettueranno, insieme o separatamente, sin dalla celebrazione del matrimonio (ovvero da quando hanno optato per la comunione) e fino a quando il matrimonio resta valido (art. 191 c.c.).
Inoltre, nella comunione legale tra coniugi vige l’inderogabile principio dell’assoluta uguaglianza delle quote (art. 194 e 210 c.c.), a differenza della comunione ordinaria ove le quote dei partecipanti possono essere diseguali.
In tema di comunione legale fra coniugi, la giurisprudenza di legittimità e di merito si sono pronunciate sul problema inerente la responsabilità per debiti personali (nonché la successiva pignorabilità e vendita) di uno dei coniugi.
La Corte di Cassazione, dopo un primo arresto giurisprudenziale del 2013 (sent. n. 6575) con cui aveva iniziato ad affrontare il delicato problema dell’esecuzione dei beni in comunione legale, è di recente tornata sul punto con la sentenza n. 6230/2016, la quale approfondisce il problema della soggezione all’esecuzione forzata di beni inclusi nel regime della comunione legale dei coniugi e dell’interpretazione dell’art 189 c.c.
Il secondo comma dell’articolo citato dispone che: “i creditori particolari di uno dei coniugi, anche se il credito è sorto anteriormente al matrimonio, possono soddisfarsi in via sussidiaria sui beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato”.
Restano però non specificate le modalità con cui il creditore possa aggredire i beni soggetti a comunione legale.
Con la pronuncia in esame la Suprema Corte ha cercato di proporre una soluzione interpretativa, che dia agli operatori un minimo di certezza procedurale, tenuto conto che il campo su cui si è mossa è fortemente lacunoso sia dal punto di vista sostanziale che processuale. Ed infatti, in mancanza di una specifica regolamentazione normativa ed in presenza di molteplici orientamenti dottrinali, la Corte ha tentato ugualmente di dare una soluzione, per quanto opinabile, alla questione che ci occupa.
La questione relativa all’interpretazione dell’art. 189 c.c., risulta fondamentale in quanto da questo scaturiscono conseguenze di ordine processuale estremamente importanti, perché si tratta di stabilire come il creditore possa espropriare beni del debitore inclusi nel regime comunitario, quando si tratti di debiti personali di uno dei coniugi, non dunque debiti della comunione legale.
La Corte di Cassazione con questa ultima decisione ha affermato che il bene in comunione deve intendersi pro quota indiviso e non come una comunione con la distinzione delle singole quote, facenti capo a ciascun comproprietario. Le conseguenze derivanti da tale ricostruzione sono nel senso che il creditore potrà aggredire non la quota del debitore ma il bene per intero.
Questa interpretazione tutelerebbe maggiormente il creditore, il quale potrebbe procedere ad esecuzione direttamente sui beni della comunione, salvo poi vedersi opposto il beneficium escussionis con l’indicazione dei beni personali aggredibili.
La Suprema Corte si è spinta oltre, ritenendo che il coniuge, contitolare del bene al 50%, dovesse trovare tutela nella fase esecutiva e cioè nella fase di distribuzione del ricavato, dove la metà del ricavato lordo dovrà essere assegnato al coniuge coinvolto nell’espropriazione.
Le forme del pignoramento che si dovranno seguire sono quelle di un comune pignoramento immobiliare nei confronti del debitore, ma tenuto conto che nell’esecuzione viene coinvolto il coniuge non debitore, l’atto esecutivo dovrà essere notificato anche a quest’ultimo.
Proprio in forza di quanto dedotto, la Corte di Cassazione afferma che il coniuge non debitore dovrà considerarsi come soggetto passivo dell’espropriazione in concreto operata, in considerazione del fatto che è comunque destinatario degli effetti espropriativi del pignoramento, giacché vedrà trasformato il suo diritto sul bene in una somma di denaro.
Tale sua condizione di soggezione, come già affermato, imporrà non solo la notificazione del pignoramento anche al coniuge non debitore, ma anche l’applicazione delle regole che impongono l’esecuzione degli avvisi durante tutta la procedura esecutiva a chi deve essere coinvolto nell’esecuzione.
La soggezione del coniuge contitolare non debitore alla procedura esecutiva, però, non esclude che questo possa proporre eventuali opposizioni per sottrarre il bene dal pignoramento. Ed infatti, il coniuge potrebbe opporre il beneficium escussionis, indicando al creditore altri beni utilmente pignorabili.