Clausole di prelazione e gradimento

Acquisto di quote di partecipazione in spregio del diritto di prelazione ed in caso di mancato gradimento, quale tutela?

Negli statuti delle società di capitali è frequente che i soci, in sede di costituzione o nel corso della vita della società, introducano delle clausole di prelazione e di gradimento. La funzione di tali clausole è quella di mantenere inalterata la compagine sociale, evitando l’ingresso in società di terzi non graditi e, altresì, quella di garantire ai soci il mantenimento del proprio “peso” all’interno della società.

In dottrina ed in giurisprudenza si è dibattuto molto in merito all’efficacia di tali clausole statutarie. In particolare, il confronto riguardava l’efficacia reale o obbligatoria di simili pattuizioni e, conseguentemente, la sorte di un trasferimento della quota di partecipazione effettuato in spregio del diritto di prelazione o del mancato gradimento.

La dottrina e la giurisprudenza prevalenti (confronta Cass. Civ. 12797/2012) hanno chiarito che tali clausole, se inserite nello statuto della società (diverso sarebbe qualora le stesse fossero inserite all’interno di patti parasociali), hanno efficacia reale e, pertanto, i trasferimenti effettuati senza il rispetto del diritto di prelazione o nel caso di mancato gradimento non sono opponibili nei confronti della società e dei soci.

Se, da un lato, l’efficacia di simili clausole non è più oggetto di discussione, non vi è altrettanta conformità di vedute in merito ai possibili rimedi esercitabili dal socio che, ad esempio, ha visto leso il proprio diritto di prelazione.

Sul punto è utile richiamare una recente pronuncia del Tribunale di Roma (27 ottobre 2015) in cui viene affermata con chiarezza ed in modo condivisibile l’insussistenza in capo al socio, in presenza di una clausola statutaria di prelazione, del diritto di riscattare dal terzo cessionario la quota ceduta senza il rispetto del diritto di prelazione.

In particolare il Tribunale capitolino nell’affermare ancora una volta che il patto di prelazione inserito nello statuto di una società di capitali … ha efficacia reale, chiarisce che tale efficacia reale … non importa anche il potere di riscatto da parte del prelazionario pretermesso.

Il trasferimento posto in essere, infatti, considerata l’efficacia erga omnes della clausola statutaria, sarà si inopponibile alla società ed ai soci, ma non farà sorgere alcun diritto di riscatto, diritto che, continua il Tribunale di Roma, “costituisce un così intenso limite all’autonomia contrattuale ed al principio generale di cui all’art. 1379 c.c. che non può ravvisarsi in ipotesi diverse da quelle di prelazione legale in tal senso espressamente regolate dalla legge (retratto successorio, prelazione agraria, prelazione nell’ambito della locazione di immobili ad uso non abitativo)

La richiamata sentenza, unitamente ad altre pronunce di merito del Tribunale di Milano, segue la strada tracciata dalla Suprema Corte con la sentenza 12370/2014. Ciò che viene affermato in giurisprudenza, di fatto, è la differenza sussistente tra l’efficacia erga omnes di simili clausole statutarie dalla prelazione reale, prevista espressamente ed in specifici casi dalla legge.

Alla luce della richiamata giurisprudenza, pertanto, è possibile affermare che in caso di trasferimento in spregio del diritto di prelazione o gradimento statutariamente previsti non sorge in capo ai soci “lesi” alcun diritto di riscatto né gli stessi sono titolari di alcun rimedio di tipo reale.

Naturalmente, la società potrà e dovrà rifiutare di riconoscere quale socio il cessionario della quota di partecipazione il cui acquisto si sia verificato in violazione di una clausola statuaria; i soci potranno agire al fine di ottenere il risarcimento del danno eventualmente prodotto ma non potranno pretendere la declaratoria di inefficacia del trasferimento posto in essere il quale non è nullo (confronta Cass. Civ. 7003/2015) ma valido ed efficace tra le parti (sarà tutt’al più il cessionario a poter chiedere la risoluzione del trasferimento qualora il suo diritto non venga riconosciuto dalla società e tale eventualità non fosse espressamente disciplinata dal contratto).

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