Azione di disconoscimento di paternità

Azione di disconoscimento di paternità. La disciplina, le procedure e i limiti.

 

Da sempre, nell’ambito dei rapporti di famiglia, si è contrapposta l’esigenza della ricerca della verità circa il legame di filiazione, con quella della garanzia dello status di figlio, soprattutto nelle ipotesi di figli minori.

In tema di status di figlio, la Carta costituzionale dispone all’ultimo comma dell’art. 30 che “la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”.
In forza della norma costituzionale appena richiamata, la disciplina della filiazione è contenuta nel libro I, titolo VII del codice civile, la quale è stata oggetto di un recente intervento legislativo.
Con il D. Lgs. n. 154 del 28 dicembre 2013 il legislatore ha disposto l’unicità dello status di figlio ed ha riformato anche l’azione di disconoscimento di paternità.
Fermo restando che l’art. 231 c.c. continua a prevedere la presunzione in base alla quale “il marito è padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio”, la riforma citata ha abrogato l’art. 235 c.c. ed introdotto l’art. 243 bis c.c. che novella l’azione di disconoscimento di paternità.
Nella disciplina previgente, l’art. 235 c.c., ispirato al c.d. favor legitimitatis (cioè di garantire lo status di figlio legittimo, piuttosto che la ricerca della verità circa il legame di sangue), prevedeva che l’azione di disconoscimento di paternità potesse essere esperita solo in quattro ipotesi: nascita entro il termine di 180 giorni dopo la celebrazione del matrimonio; mancanza di coabitazione tra i coniugi all’epoca del presunto concepimento; impotenza del marito; adulterio della moglie od occultamento della gravidanza e della nascita del figlio.
I limiti posti dal legislatore rilevavano anche sotto il profilo probatorio. Ed infatti, le prove ematologiche e genetiche erano ammesse soltanto qualora si fosse pianamente provato l’adulterio o il celamento della gravidanza. Tale limite, però, è stato ritenuto dalla Corte Costituzionale (sent. 6 luglio 2006, n. 266) irrazionale e lesivo del diritto di difesa in giudizio.
Come già accennato, il D. Lgs. 154/2013 ha abrogato l’art. 235 c.c. e l’azione di disconoscimento è oggi disciplinata dall’art. 243 bis c.c.: “L’azione di disconoscimento di paternità del figlio nato nel matrimonio può essere esercitata dal marito, dalla madre e dal figlio medesimo.
Chi esercita l’azione è ammesso a provare che non sussiste rapporto di filiazione tra il figlio e il presunto padre.
La sola dichiarazione della madre non esclude la paternità”.
Pertanto, la nuova norma ha letteralmente superato i precedenti limiti, fondandosi sul favor veritatis. L’azione di disconoscimento è oggi sempre ammessa, in qualunque ipotesi, e non incontra gli stessi limiti probatori del passato, ben potendo provare il rapporto di filiazione con ogni mezzo, ancorché la dichiarazione della madre non sia sufficiente ad escludere la paternità.
Su tale ultimo punto, era già intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1777 del 19/07/2013 con la quale affermava che “a seguito della sentenza della Corte Costituzionale, 6 luglio 2006 n. 266, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 235, comma 2, c.c., nella parte in cui subordinava l’esame delle prove ematologiche alla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie, il giudice di merito deve procedere agli accertamenti genetici anche in mancanza di prova dell’adulterio, traendo argomenti di prova ex art. 116 c.p.c. dall’eventuale rifiuto di una parte di sottoporsi al prelievo”.
L’azione di disconoscimento di paternità è anche sottoposta a termini decadenziali diversi che decorrono in maniera diversa in base al legittimato attivo che propone l’azione (art. 244 c.c.).
Se a proporre l’azione è la madre, questa può proporre l’azione di disconoscimento entro sei mesi dalla nascita del figlio oppure dalla conoscenza dell’impotenza del marito all’epoca del concepimento.
Se, invece, a proporre l’azione è il marito: può proporre l’azione entro il termine di un anno decorrente dalla nascita se egli si trovava al tempo di questa nel luogo in cui è nato il figlio; se invece all’epoca si trovava in un luogo diverso il termine decorre dal giorno del suo ritorno; mentre, se prova la propria impotenza ovvero l’adulterio della moglie al tempo del concepimento, il termine decorre da quando ne ha avuto conoscenza.
Inoltre, se a proporre l’azione sono il padre o la madre, questi non possono procedere al disconoscimento se sono decorsi cinque anni dalla nascita del figlio, tale limite però non opera se al tempo della nascita il marito non era presente. Mentre, l’azione di disconoscimento esercitata dal figlio maggiorenne non è soggetta ad alcun limite temporale.
Il termine di cinque anni è stato introdotto con la riforma sulla filiazione del 2013.
Prima della riforma, infatti, non era previsto il doppio limite temporale se non quello di un anno. Pertanto, l’azione poteva essere esercitata in ogni tempo dalla nascita del figlio, purché la conoscenza dell’impotenza generandi o dell’adulterio fosse avvenuta entro un anno.
Su tale illimitatezza si era pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 5653 del 10/04/2012, affermando che è necessario interpretare i limiti temporali, legislativamente previsti, a tutela dello status di figlio: “il termine annuale decorre dalla data di acquisizione della conoscenza dell’adulterio della moglie, e non già da quella di raggiunta certezza negativa della paternità biologica, giacché la diversa tesi che differisce a tempo indeterminato l’azione di disconoscimento, facendone decorrere il termine di proponibilità dall’esito dei risultati di un’indagine (stragiudiziale) cui non è dato a priori sapere se e quando i genitori possano addivenire, sacrifica in misura irragionevole i valori di certezza e stabilità degli status e dei rapporti familiari, a garanzia dei quali la norma è viceversa predisposta”.
Pertanto, gli attuali limiti temporali previsti dal novellato art. 244 c.c. rispondono a quell’esigenza di certezza e stabilità già ravvisata dalla giurisprudenza di legittimità.

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