Il mantenimento dei figli maggiorenni

La prole “adulta” a spese di papà e mamma.
La giurisprudenza di cassazione in tema di assegno di mantenimento dei figli maggiorenni.

Il quadro sociologico, prima ancora che giuridico, è sotto gli occhi di tutti: i figli italiani lasciano la casa dei genitori sempre più tardi; molti trentenni e quarantenni conducono una vita da liceali e universitari, a carico dei genitori.

L’art. 147 del codice civile impone l’obbligo ad entrambi i coniugi di mantenere i figli, senza porre limiti di età.

Dal punto di vista giuridico, i figli che hanno compiuto la maggiore età sono sempre stati oggetto di attenzione e tutela da parte della giurisprudenza di legittimità.
In particolare, l’orientamento costante della Suprema Corte sembra riconoscere il diritto al mantenimento, in modo quasi automatico ed incondizionato: “l’obbligo del genitore di concorrere al mantenimento dei figli non cessa con il raggiungimento della maggiore età, ma perdura sino a quando il medesimo genitore non dia prova che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica” (Cassazione civile, n. 17808/2015 – Cass. Civ. 15500/2014) (2) (3).

D’altra parte, però, la Corte di Cassazione ha sempre cercato di porre degli argini al diritto dei mantenimento dei figli maggiorenni, stabilendo che “l’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli maggiorenni, secondo le regole dettate dagli artt. 147 e 148 c.c., cessa a seguito del raggiungimento, da parte di questi ultimi, di una condizione di indipendenza economica che si verifica con la percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita ovvero quando il figlio, divenuto maggiorenne, è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta” (Cassazione civile sez. VI – 12 aprile 2016 n. 7168) (1).

Inoltre, le decisioni relative alla fissazione di un assegno mensile per il mantenimento dei figli maggiorenni, non autonomi economicamente e conviventi, è soggetta al principio della domanda, diversamente da quanto deve dirsi per il caso di figli minorenni (v. Trib. di Bari nr.4997/2015).

Infine, è bene ricordare che il diritto al mantenimento viene determinato facendo riferimento più al tenore di vita, che al reddito dichiarato (“in tema di determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del figlio, è infondata la censura di omesso esame del reddito documentato in giudizio allorchè il giudice del merito abbia ritenuto inattendibili le dichiarazione dei redditi del genitore obbligato in considerazione del tenore di vita goduto, delle consistenze patrimoniali e finanziarie accertate nel corso del giudizio e dell’attività svolta” – v. cass. civ. n. 17808/2015).

Di seguito si riportano le principali sentenze sul tema del mantenimento dei figli maggiorenni.

(1)
Cassazione civile, sez. VI, 12/04/2016,  (ud. 19/02/2016, dep.12/04/2016), n. 7168

Fatto

 e diritto
Rilevato che:
1. Il Tribunale di Cuneo, con sentenza n. 131/2011, ha pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra i coniugi B.E. e D.N.G. e ha affidato il figlio minore B.J., nato il (OMISSIS), ad entrambi i genitori fissandone la residenza presso la madre cui ha affidato la casa coniugale. Ha posto a carico del B. un assegno mensile di 1.500 Euro destinato al mantenimento del figlio oltre al 50% delle sue spese straordinarie nonchè un assegno divorzile di 800 Euro mensili. Ha compensato interamente le spese processuali e posto a carico delle parti in pari quota le spese della C.T.U. relativa alla persona del figlio minore.
2. La Corte di appello di Torino, con sentenza n. 2459/13, ha accolto parzialmente il gravame di B.E. e rideterminato in 600 Euro l’assegno divorzile e in 1.000 Euro il contributo in favore del figlio mentre ha confermato per il resto la sentenza di primo grado.
Ha compensato per metà le spese del giudizio di appello e posto la quota residua a carico dell’appellante.
3. Ricorre per cassazione B.E. affidandosi a due motivi di impugnazione: a) violazione e falsa applicazione di legge (artt. 99, 112, 115 e 116 c.p.c. e norme correlate; L. n. 898 del 1970, artt. 5 e 9, come modificati dalla L. n. 74 del 1987). Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e all’art. 111 Cost.; b) violazione e falsa applicazione di legge (art. 92 c.p.c. e norme correlate).
4. Con il primo motivo il ricorrente deduce la contraddittorietà e la non conformità alle norme indicate della decisione in quanto, pur avendo rilevato la drastica modifica peggiorativa delle condizioni reddituali del ricorrente, la Corte di appello non ha provveduto conseguentemente nella rideterminazione degli assegni e in quanto, pur avendo dato atto che il figlio J., divenuto maggiorenne il 14 agosto 2013, ha ultimato una scuola per intagliatore di legno ed è quindi in grado di svolgere attività presso qualche laboratorio artigiano, ha conservato l’assegno di mantenimento nella misura di 1.000 Euro mensili, oltre al 508 delle spese straordinarie. Con il secondo motivo 11 ricorrente rileva la mancata motivazione del provvedimento sulle spese che non si giustifica in ragione dell’esito del giudizio del tutto favorevole all’odierno ricorrente.
Ritenuto che:
5. Il ricorso è parzialmente fondato in relazione alla censura che investe la decisione sull’assegno in favore del figlio maggiorenne perchè non coerente alla giurisprudenza di legittimità secondo cui l’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli maggiorenni, secondo le regole dettate dagli artt. 147 e 148 c.c., cessa a seguito del raggiungimento, da parte di questi ultimi, di una condizione di indipendenza economica che si verifica con la percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita ovvero quando il figlio, divenuto maggiorenne, è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta. La motivazione della Corte di appello sul punto opera una riduzione dell’assegno in considerazione della acquisita capacità professionale a svolgere attività retribuita senza alcuna valutazione sulla esistenza di una ridotta potenzialità reddituale che giustificherebbe il permanere dell’assegno sia pure in misura minore rispetto a quella stabilita nel primo grado del giudizio. Quanto invece all’assegno divorzile l’impugnazione appare inammissibile perchè non coerente alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e sostanzialmente intesa a richiedere una riedizione della valutazione di merito compiuta dalla Corte di appello sulle capacità economiche del ricorrente, valutazione che ha comunque portato a una riduzione dell’ammontare dell’assegno divorzile.
6. Sussistono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l’impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per l’accoglimento parziale del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo motivo.
La Corte condivide la relazione sopra riportata e pertanto ritiene che il ricorso debba essere accolto limitatamente all’assegno di mantenimento del figlio con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di appello di Torino anche per le spese del giudizio di cassazione.

PQM
La Corte accoglie il ricorso limitatamente all’assegno di mantenimento del figlio del ricorrente, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Torino anche per le spese. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 febbraio 2016.
Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2016

(2)
Cassazione civile, sez. VI, 08/09/2015, (ud. 16/06/2015, dep.08/09/2015),  n. 17808

Fatto

 e diritto
In un procedimento di modifica delle condizioni di divorzio, tra B.F. e C.M.L., la Corte d’appello di Cagliari, con provvedimento in data 24/02/2011, confermava la decisione di primo grado che, da un lato, aveva respinto la richiesta del marito di essere esentato dall’assegno per la moglie e di veder ridotto quello per la figlia, maggiorenne, alla quale il padre avrebbe inteso corrispondere direttamente l’assegno, dall’altro, in accoglimento della domanda della moglie, incrementava l’assegno per entrambe le beneficiane, nella misura complessiva di Euro 500,00 mensili.
Ricorre per cassazione il mari tocche pure deposita memoria difensiva. Resiste con controricorso la moglie.
Con il primo motivo il marito deduce violazione dell’art. 12 disp. att. c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Assume che la Corte territoriale avrebbe errato là dove non si sarebbe ispirata al “comune sentire della comunità del nostro tempo) e, pertanto, non avrebbe tenuto conto della breve durata del matrimonio fra le parti, ai fini della misura dell’assegno divorzile.
Come ha avuto più volte ad affermare questa Corte, in sede di revisione dell’assegno di divorzio, il giudice non può procedere ad una nuova od autonoma valutazione dei presupposti o dell’entità dell’assegno, ma, nel pieno rispetto della valutazione espressa al momento dell’attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in quale misura, circostanze sopravvenute abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto, adeguando l’importo od escludendo l’assegno in relazione alla nuova situazione patrimoniale (cfr. da ultimo, tra le altre, Cass. 14142/2014: è appena il caso di precisare che i “giustificati motivi indicati dalla L. Divorzio, art. 9 sono da sempre interpretati nel senso che si ricolleghino a circostanze sopravvenute). Correttamente il giudice a quo ha ritenuto che la durata del matrimonio non rappresenti elemento deducibile nel procedimento L. divorzio, ex art. 9 (tale profilo avrebbe dovuto, semmai essere dedotto in sede di gravame avverso la sentenza di divorzio, che aveva determinato l’assegno per la moglie).
Con il secondo motivo, il marito deduce violazione della L. divorzio, art. 9 e art. 112 c.p.c. sub art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Assume che la Corte territoriale avrebbe erroneamente affermato la sussistenza dell’obbligo a suo carico di contribuire a mantenere la moglie.
Sta di fatto che il giudice a quo, con motivazione congrua e corretta, non censurabile in questa sede di legittimità, ha evidenziato come il marito non avesse dimostrato che le sue condizioni economiche avevano subito un peggioramento rispetto al momento della pronuncia di divorzio. L’intervenuto suo pensionamento e la conseguente ulteriore impossibilità di svolgere lavoro straordinario appaiono, secondo il giudice a quo, avulsi da qualsiasi dato concreto, non fornendo l’odierno ricorrente indicazione alcuna sul reddito del 1993 (anno del divorzio) e quello del 2007 (momento di radicazione del procedimento). Del pari, correttamente, la Corte territoriale ha escluso che l’età avanzata possa essere di per sè elemento di peggioramento delle condizioni economiche dell’obbligato, in difetto di una specifica prova al riguardo. Quanto al mantenimento della nuova moglie, cui sicuramente il marito deve provvedere, la Corte territoriale, con motivazione non illogica, precisa che costei precedentemente lavorava e, all’evidenza, sull’accordo dei coniugi, ha cessato di lavorare dopo il matrimonio, denotando tale circostanza la capacità economica della nuova famiglia di far fronte comunque ad ogni esigenza di vita. L’argomentazione del giudice a quo è palesemente collegata, seppur in modo implicito, all’importo dell’assegno per la moglie divorziata, non particolarmente elevato.
Nel contempo, la Corte di merito ha correttamente evidenziato come l’età della resistente (nata nel 1951) e la condizione di invalidità al 55% compromettano la sua possibilità di inserirsi in modo proficuo nel mondo del lavoro.
Con il terzo motivo, il marito censura violazione dell’art. 155 quinquies c.c., artt. 112 e 115 c.p.c., art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Assume che la Corte territoriale avrebbe errato là dove aveva affermato che su di lui gravava la prova dell’indipendenza economica della figlia maggiorenne, spettando invece alla madre l’onere di dimostrare che essa attende con regolarità e profitto agli studi universitari.
La Corte d’appello ha invece fatto corretta applicazione del principio, più volte affermato da questa Corte, in base al quale l’obbligo del genitore di concorrere al mantenimento dei figli non cessa con il raggiungimento della maggiore età, ma perdura sino a quando il medesimo genitore non dia prova che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica (tra le altre, da ultimo, Cass. 15500/2014).
Il giudice a quo, con congrua valutazione di merito, non censurabile in questa sede, ha evidenziato come, in presenza di elementi di segno contrario, la figlia, per quanto studentessa universitaria all’età di 27 anni, avesse titolo al mantenimento da parte del padre.
Va pertanto rigettato il ricorso. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio che si liquidano in Euro 1.600,00, comprensivi di Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità ed atti identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 5 maggio 2015.
Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2015

(3)
Cassazione civile, sez. VI, 08/07/2014, (ud. 23/04/2014, dep.08/07/2014),  n. 15500

Fatto

 e diritto
In un procedimento di divorzio tra B.R.B. e C. L.B., il Tribunale di Roma, in data 18/10/2007, determinata in 5.000,00 l’assegno a carico del marito per moglie e figli.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza in data 8/6/2011, in riforma, escludeva assegno di Euro 700,00 per la figlia, e determinava quello per la moglie e l’altro figlio in Euro 4.300,00.
Ricorre per cassazione il marito.
Resiste con controricorso la moglie.
Il ricorrente ha depositato memoria difensiva.
Non si ravvisa violazione alcuna di legge.
Il ricorrente propone per gran parte profili e valutazioni di fatto, insuscettibili di controllo in questa sede.
La sentenza impugnata presenta una motivazione congrua e non illogica.
La Corte di Appello esclude l’assegno per la figlia maggiorenne, ormai residente negli Stati Uniti e con un reddito da lavoro stabile.
Il giudice a quo richiama la “fattualità” della situazione, con ciò significando che il padre non ha provato una decorrenza, eventualmente anteriore, dell’autosufficienza economica della figlia.
Lo stesso ricorrente afferma che la figlia aveva mantenuto la residenza in Roma, benchè studiasse negli Stati Uniti e, solo nel corso del giudizio di appello, egli aveva prodotto documentazione circa il definitivo trasferimento all’estero della figlia. Sussisteva dunque la legittimazione della madre convivente, fino al trasferimento della figlia, a percepire l’assegno per questa. Bene ha fattoria Corte di Appello ad escludere l’assegno dalla data della decisione, e non dalla domanda. Del resto, correttamente, la sentenza si riferisce pure alla natura alimentare dell’obbligo e all’impossibilità di ripetizione di quanto corrisposto, secondo giurisprudenza consolidata (per tutte, Cass. N. 6864/09), che questo Collegio condivide, non avendo pregio le argomentazioni, del resto molto scarne, contenute nella memoria difensiva, e volte ad un superamento di tale orientamento. Riguardo all’altro figlio, la sentenza impugnata, ancora una volta con motivazione adeguata e non illogica, precisa che egli si è laureato in architettura, ma non ha raggiunto l’autonomia economica; risulta aver prestato attività lavorativa temporanea part-time “per cifre irrisorie”. Nessuna prova ha fornito il ricorrente di una “colpa ” del figlio, per aver trovato un lavoro del tutto limitato e scarsamente remunerativo. Va pertanto rigettato il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità ed atti identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 23 aprile 2014.
Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2014

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