La procura speciale (e generale) alle liti

La procura speciale alle liti, profili di legittimità ed efficacia.

commento alla sentenza della Corte di Cassazione sugli effetti del mancato dell’omesso deposito della procura ad litem.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE III CIVILE – Sentenza 25 febbraio – 22 maggio 2014, n. 11359
L’art. 182, primo comma, cod. proc. civ. (non interessato dalla modifica di cui alla legge n. 69 del 2009) va interpretato nel senso che il giudice che rilevi l’omesso deposito della procura speciale alle liti rilasciata, ai sensi dell’art. 83, comma terzo, cod. proc. civ., che sia stata semplicemente enunciata o richiamata negli atti della parte, è tenuto ad invitare quest’ultima a produrre l’atto mancante, e tale invito può e deve essere fatto, in qualsiasi momento, anche dal giudice d’appello e solo in esito ad esso il giudice deve adottare le conseguenti determinazioni circa la costituzione della parte in giudizio, reputandola invalida soltanto nel caso in cui l’invito sia rimasto infruttuoso”.

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Il principio di diritto affermato si riferisce, come si legge testualmente, alla ipotesi dell’omesso deposito della procura speciale alle liti.
Dalla lettura della motivazione integrale, si evince che la Corte intende porsi esplicitamente in linea di continuità con quell’altra giurisprudenza secondo la quale nel caso di omesso deposito della procura generale ad lites, solo enunciata o richiamata negli atti della parte, il giudice è tenuto, in adempimento del dovere impostogli dall’art. 182 c.p.c., ad invitarla a produrre il documento mancante, e tale invito può e deve esser fatto, in qualsiasi momento anche dal giudice d’appello e solo in esito ad esso il giudice deve adottare le conseguenti determinazioni circa la costituzione della parte in giudizio.

Tuttavia, è proprio la stessa Corte a precisare che la giurisprudenza del medesimo orientamento cui si richiama, si riferisce al solo caso della procura generale alle liti, rilasciata quindi con atto dotato di data certa; pertanto, il principio di diritto che enuncia contrasta con quella giurisprudenza secondo la quale:“il mancato reperimento della procura alle liti non impone al giudice di disporre le opportune ricerche tramite la cancelleria e, in caso di insuccesso, concedere un termine per la ricostruzione del proprio fascicolo. Tale criterio, infatti, valido per la documentazione inclusa nel fascicolo di parte, non appare riferibile automaticamente alla procura, la quale deve preesistere alla costituzione della parte. Il giudice potrà concedere il termine nell’unico caso in cui la procura alle liti sia stata rilasciata per atto notarile, di cui può essere agevole produrre una copia” (v. Cassazione civile, sez. trib., 10/12/2008, n. 28942).

La Corte, tuttavia, ritiene che tra le due fattispecie (ovvero la mancata produzione di procura generale e quella di mancata produzione di procura speciale ) non vi sia una differenza positivamente riscontrabile.
E ciò lascerebbe immutata la differenza tra il primo comma dell’art. 182 c.p.c., ovvero l’ipotesi in cui la procura menzionata vi sia e sia valida, ma ne risulti soltanto l’omessa allegazione quale documento agli atti di causa, ed il secondo comma, nella versione oggi vigente, che riguarda il caso in cui la procura sia invece stata depositata, ma la stessa appaia affetta da vizi di nullità.

In sostanza la Corte ritiene che, in sede di verifica della regolarità della costituzione delle parti, occorra accertare anche l’eventuale difetto di produzione della procura che sia stata solo enunciata, e ciò a prescindere della tipologia di procura di cui si tratti. La questione affrontata dalla corte si inserisce nella tematica, più volte discussa dalla dottrina e dalla giurisprudenza, degli effetti della mancanza di procura e della differenza tra procura nulla o invalida e procura inesistente.

In particolare, appare ormai consolidato il principio secondo il quale in assenza di procura l’attività processuale del difensore non è in alcun modo riferibile alla parte ed egli solo ne assume la responsabilità (anche ai fini delle spese di lite), mentre nell’ipotesi, ben diversa, in cui il difensore abbia agito sulla base di procura ad litem invalida o divenuta inefficace, l’attività processuale è provvisoriamente efficace ai fini della instaurazione del rapporto processuale con la parte rappresentata, che aveva comunque conferito quella procura, la quale assume la veste di potenziale destinataria delle situazioni derivanti dal processo, sino a quando la nullità non venga dichiarata.

Il principio affermato dalla corte nella sentenza in esame, quindi, sembrerebbe condivisibile; tuttavia, se si pone l’accento sulla specifica fattispecie posta all’attenzione del supremo consesso, la questione si presenta ben più complessa ed emergono dubbi interpretativi.
La procura di che trattasi, che – come si legge nella motivazione – mancava agli atti del processo, sarebbe stata apposta “in calce all’atto citazione notificato”.
Si trattava, cioè, di una procura speciale alle liti, rilasciata con le forme di cui all’art. 83, III comma, c.p.c., con modalità normativamente consentite, ma tali da privare totalmente le controparte ed il giudice, in assenza del documento in atti, del potere di verificare la sua effettiva sussistenza – rectius esistenza – al momento della costituzione in giudizio.

La questione non è di poco momento.
Difatti, nella ipotesi di procura generale vi è un dato che la corte trascura nel dire che le due fattispecie (la mancata produzione di procura generale o speciale) sono analoghe: solo la procura generale6, che ex lege è necessariamente conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata, è dotata del requisito della certezza della data del rilascio e, quindi, la sua anteriorità o coevità, rispetto alla lite è facilmente verificabile allorquando venga prodotta in giudizio, anche successivamente alla avvenuta costituzione, irregolare, della parte che ne era apparentemente priva.

Nel caso di specie, invece, rimessa la causa al giudice di rinvio, il quale, in adempimento al preciso obbligo impostogli dalla Corte di Cassazione, deve invitare la parte a sanare, nulla osta alla stessa di depositare la citazione di primo grado notificata, munita di una procura in calce, che, priva appunto di data, può, in astratto, essere stata apposta in qualsiasi fase, stato e grado del giudizio, senza che il giudicante possa in alcun modo verificare la anteriorità, o coevità, della sua apposizione rispetto alla stessa costituzione in giudizio.
E, a fortiori, ciò potrebbe avvenire nei casi disciplinati dall’art. 83 III comma c.p.c., nella parte in cui consente il rilascio di regolare procura su foglio separato e congiunto solo materialmente all’atto cui si riferisce.
Ancora, di recente, la giurisprudenza ha ribadito che neanche la nuova formulazione dell’art. 182 II comma c.p.c. consenta di ritenere possibile la costituzione in giudizio senza procura, sanata dalla successiva “ratifica”, ad eccezione dell’unico caso previsto ex art. 125 cpc 7.

Ma l’applicazione del principio enunciato dalla Corte relativamente al I comma dell’articolo 182 c.p.c. consentirebbe, paradossalmente, di “sanare” una costituzione effettuata senza procura – rectius con procura inesistente – perché mai rilasciata, mentre il II comma del 182 c.p.c. si applicherebbe al solo caso di procura nulla.
Si impone, quindi, una riflessione sulla potenziale portata innovativa del principio di diritto, se interpretato estensivamente 8.
La Corte ha enunciato il suddetto principio statuendo su un caso di procura, conferita per ogni stato e grado del giudizio, ed asseritamente apposta in calce alla citazione ex adverso notificata, ossia con una modalità tale da non essere dotata di data certa: si è voluto consapevolmente conferire una sferzata di novità volta a “de-formalizzare” il processo9, nel senso di ampliare la possibilità di sanatoria ai vizi formali che impediscono una sentenza di merito?
Ed ancora: la Corte ha, quindi, inteso azzardare una equiparazione di fatto tra la procura “processuale” e quella “sostanziale” (i vizi di quest’ultima, difatti, sono notoriamente, passibili di sanatoria retroattiva)?

In tal caso si tratterebbe di una nullità formale, la cui sanatoria avverrebbe per il raggiungimento dello scopo10: in sostanza la procura “non rinvenuta” o comunque mancante costituirebbe una ipotesi di procura “invalida”, idonea ad instaurare il rapporto con la parte asseritamente rappresentata e, quindi, l’atto produrrebbe i suoi effetti sino a quando la nullità non venga rilevata; mentre la successiva produzione costituirebbe una sanatoria con effetto ex tunc 11per raggiungimento dello scopo ex art. 156 III comma cpc.
Così opinando, tuttavia, si introdurrebbe la “pericolosa” possibilità di sanare – senza formalità e con effetto retroattivo – l’attività processuale svolta, anche in grado di appello, dal difensore privo di mandato ab origine12: anche sulla base del superiore principio del diritto di difesa delle parti, appare davvero inopportuno concedere un così ampio spazio di “recupero” non accompagnato dalla, invero necessaria, previsione di una qualche conseguenza processuale, che la Corte non pare individuare.

 

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