La legge Cirinnà e il diritto penale

Profili penalistici della c.d. legge Cirinnà

La recentissima legge Cirinnà, entrata in vigore due giorni fa, finalmente riconosce rilevanza giuridica nel nostro ordinamento alle unioni civili tra persone dello stesso sesso, e offre tutela alle convivenze di fatto.

Ieri, abbiamo dedicato un articolo alla novella legislativa, cercando di evidenziarne le novità degne di nota.

Oggi, vogliamo, invece, analizzare le questioni penali che la legge, indirettamente, solleva. Infatti, il legislatore, si è occupato esclusivamente degli aspetti civilistici, dimenticando di apportare dirette modifiche al codice penale.
Né può ritenersi sufficiente, sul versante penalistico, la disposizione contenuta nel comma 20 dell’art. 1 della legge n. 76 del 2016, in base alla quale:  <<al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrano nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso>>.

Anzitutto, si può osservare che la norma ha una specifica ratio: estendere l’applicazione, ai soggetti legati da unioni civili, delle sole disposizione volte alla “tutela dei diritti e all’adempimento dei doveri derivanti dall’unione civile”. Quindi, il testo della norma de qua non produce effetti nei confronti di quelle fattispecie penali la cui estensione non realizzi un fine di tutela, né di adempimento dei doveri di assistenza. Inoltre, occorre ricordare che in materia penale vige il divieto di analogia in malam partem, sicché è da escludere che il giudice possa adeguare la norma penale alla mutata realtà sociale dei rapporti di coppia.

Pertanto, nel silenzio del legislatore e nell’impossibilità della magistratura di fare da sé, la legge sulle unioni civili e sulle convivenze solleva, in ambito penalistico, delle imbarazzanti situazioni discriminatorie, alla luce delle quali l’effettiva parità di trattamento, tra tutti i modelli di famiglia che assumono rilevanza nel nostro ordinamento, appare ancora incompiuta.

Vediamo, adesso, nel dettaglio i profili penalistici più problematici.

1) Anzitutto, non pare applicabile alle unioni civili la circostanza aggravante che si applica al reato di omicidio del coniuge.

2) In materia di sequestro di persone, la norma in base alla quale il pubblico ministero ha il potere di disporre il sequestro dei beni che il coniuge potrebbe utilizzare per pagare il riscatto, non sembra anch’essa estensibile al soggetto legato da unione civile al rapito.

3) E che dire del reato commesso dal pubblico ufficiale, il quale non si astenga in presenza di un interesse di un prossimo congiunto, tra cui il coniuge, o del reato di bigamia? Rispetto a tutte queste fattispecie, almeno al momento, sembrerebbe ferma l’applicabilità ai soli coniugi.

Se da una parte queste fattispecie appaiono discriminatorie nei confronti dei coniugi, vi sono poi delle disposizioni, la cui inapplicabilità alle unioni civili, discriminerebbe queste ultime rispetto alle unioni coniugali.

4) Si tratta, in particolare, della norma che stabilisce la non punibilità del coniuge per falsa testimonianza, o della norma che prevede la non punibilità di chi a favore di un prossimo congiunto commette reato di assistenza ai partecipi di associazioni per delinquere o con finalità di terrorismo, o ancora di quella che prevede la non punibilità del furto o della truffa ai danni del partner non legalmente separato.

5) Inoltre, non vanno dimenticate quelle disposizioni del codice di procedura penale, le quali prevedono l’obbligo di astensione per il giudice, il cui coniuge sia pm o persona offesa dal reato. Anche queste norme non varrebbero per partner dello stesso sesso legati da unioni civili.

Infine, va segnalato che la legge Cirannà estende l’obbligo reciproco all’assistenza morale, materiale e alla coabitazione, solo alle unioni civili e non anche alle convivenze di fatto. Di conseguenza, soltanto i partner della prima categoria, rischiano l’accusa di omicidio o lesioni personali per l’eventuale condotta di «mancata prestazione di cure o di alimentazione».

In conclusione, appare auspicabile un intervento repentino del legislatore, al fine di adeguare il codice penale al mutato concetto di famiglia, in un’ottica di precisione della norma penale e di certezza giuridica.

Lascia un commento