Intercettazioni, microspie, polizia giudiziaria e vittime

Intercettazioni : la polizia consegna delle microspie a un cittadino per registrare una richiesta estortiva, profili di legittimità 

Un imprenditore, preoccupato dal fatto che un pregiudicato di mafia aveva chiesto di incontrarlo e temendo una possibile richiesta estorsiva, informava prontamente la polizia che, di conseguenza, gli forniva delle microspie e gli consigliava di registrare la conversazione. Durante l’incontro tra l’imprenditore e il pregiudicato, quest’ultimo avanzava la richiesta di un’ingente somma di denaro a titolo di pizzo e chiedeva, inoltre, di essere assunto. L’imprenditore si opponeva a tali pretese e si recava a denunciare l’accaduto e a depositare la registrazione effettuata presso la Direzione Distrettuale Antimafia (D.D.A).

La questione che si pone è la seguente: la registrazione eseguita in maniera occulta dall’imprenditore attraverso microspie o altri mezzi predisposti dalla polizia, è utilizzabile come prova nel processo penale?

L’art. 15 della Costituzione sancisce il principio secondo cui la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria (riserva di giurisdizione) e con le garanzie stabilite dalla legge (riserva di legge). Infatti, le intercettazioni – che sono un mezzo di ricerca della prova consistente nell’apprensione occulta e in tempo reale del contenuto di una conversazione da parte di soggetti estranei al colloquio (v. sent 36747/03 S.U. Cass. Penale) – vengono disposte da un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria e nel rispetto della normativa specifica del codice penale (art. 266 e ss. c.p.p.).

Al contrario, non si è in presenza di intercettazioni e, dunque, della summenzionata duplice riserva, quando il partecipante ad una conversazione la registra autonomamente. In questo caso, infatti, il soggetto non fa altro che memorizzare fonicamente le notizie apprese in maniera lecita e non occulta dall’altro o dagli altri interlocutori. Ognuno di essi ne può disporre delle eventuali registrazioni, a meno che, per la particolare qualità rivestita o per lo specifico oggetto della conversazione, non vi siano specifici divieti alla divulgazione (es.: segreto d’ufficio). Non vi è una violazione del principio costituzionale della segretezza della comunicazione e, pertanto, la spontanea registrazione viene acquisita al processo come mezzo di prova documentale alla luce dell’art. 234 c.p.p che qualifica esplicitamente la prova fonografica come documento.

E’ interessante ricordare che il divieto di divulgazione di notizie legittimamente apprese, quale espressione del diritto di riservatezza del comunicante, non ha carattere assoluto neppure alla luce della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (C.E.D.U.). L’art. 10 c. 1 di tale convenzione riconosce, infatti, il diritto alla “libertà di espressione” e quindi alla “… libertà di ricevere o di comunicare informazioni” di cui si è venuti legittimamente in possesso. Il comma 2 prevede che l’esercizio di tale diritto può “essere subordinato a determinate formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni”, anche “per impedire la diffusione di informazioni riservate”, il che significa che la concreta tutela della riservatezza rimane affidata ad espresse previsioni della legge ordinaria di ogni singolo Stato aderente alla Convenzione.

Il caso in cui l’imprenditore è dotato di microspie e strumenti di captazione predisposti dalla polizia, rappresenta una situazione intermedia tra un’intercettazione effettuata da un soggetto completamente estraneo alla conversazione (art. 266 e ss. c.p.p.) e la spontanea registrazione di una conversazione da parte di uno degli interlocutori (situazione non disciplinata esplicitamente dal codice di procedura penale).

Per individuare la normativa applicabile in tali casi, la Corte di Cassazione ha fatto leva sulla differenza tra “documento” e “atto del procedimento”. La disciplina sui documenti contenuta nel codice di procedura penale si riferisce esclusivamente ai documenti formati fuori e, comunque, non in vista e in funzione del processo penale nel quale si chiede o si dispone che essi facciano ingresso. La registrazione eseguita da uno degli interlocutori d’intesa con la polizia giudiziaria, invece, non costituisce una forma di documentazione dei contenuti di un dialogo bensì una vera e propria attività investigativa che incide sui valori ex art. 15 Cost . Tale compressione del diritto alla segretezza con finalità di accertamento processuale richiede, quindi, un controllo dell’autorità giudiziaria (v. sent. n. 23742/2010, Sez. VI, Cass. Penale). Tale controllo, tuttavia, non dev’essere incisivo quanto quello per le intercettazioni telefoniche ed ambientali ex artt. 266 c.p.p ss.. Infatti, il livello di intrusione della sfera della riservatezza è inferiore dato che la registrazione viene effettuata con il pieno consenso di uno dei partecipanti. La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che il livello di tutela viene garantito con un provvedimento dell’autorità giudiziaria oppure con un decreto motivato del pubblico ministero.

Con una pronuncia recente, la Corte di Cassazione ha precisato che la finalità di garanzia del decreto del pubblico ministero impone la forma scritta dello stesso in modo da assicurare che l’atto sia fruibile e sottoponibile a future critiche processuali (v. sent n. 19158/ 2015, Sez. II, Cass. Penale). Si tratta, dunque, di una forma di garanzia che non si ritiene soddisfatta attraverso la mera autorizzazione orale.

Nel caso in esame, il diritto alla libertà e alla segretezza della comunicazione del presunto estorsore non è stato rispettato in quanto la polizia giudiziaria ha agito autonomamente, senza alcuna autorizzazione del pubblico ministero. Ne consegue che la registrazione della richiesta estorsiva effettuata dall’imprenditore attraverso le microspie, non può essere presa in considerazione dal g.i.p né può essere ammessa come futura prova dibattimentale. Tuttavia, la denuncia dell’imprenditore e i successivi riscontri effettuati sono stati ritenuti di per sé sufficienti dal g.i.p, a prescindere dalla registrazione, ad integrare il grave quadro indiziario necessario per applicare comunque la misura di custodia cautelare nei confronti del soggetto pregiudicato.

Immagine : Banksy, Eavesdropping mural

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