Il re è nudo. La giustizia è l’utile del più forte?
La insensata polemica sulle parole del Dott. P. Davico.
Bisogna che tutto cambi (apparentemente), perché tutto rimanga come prima.
In un periodo in cui sono ormai lontane, disperse e sconosciute le parole – e gli insegnamenti – di Libero Grassi e Paolo Borsellino (sulla qualità del consenso e sulla responsabilità politica e sociale di chi ricopre cariche pubbliche), è normale che le dichiarazioni del Giudice P. Davigo abbiano dato vita ad un vespaio di polemiche.
Invece, a nostro parere, sono delle “ovvie verità”.
Più in particolare il Dott. Davigo ha affermato con riferimento ai fenomeni di corruzione delle classe politica di oggi, rispetto al periodo di mani pulite: «Non hanno smesso di rubare; hanno smesso di vergognarsi. Rivendicano con sfrontatezza quel che prima facevano di nascosto. Dicono cose tipo: “Con i nostri soldi facciamo quello che ci pare”. Ma non sono soldi loro; sono dei contribuenti».
A riguardo e alle critiche sorte da più parti a queste dichiarazioni, riteniamo opportuno riportare integralmente l’articolo di Angelo Cannatà, pubblicato su MicroMega. Condividiamo e facciamo nostra questa lucida riflessione.
Con un ultima considerazione: nonostante già Platone teorizzava “la tragica sorte del giusto e la fortuna dell’ingiusto e i motivi per cui la cultura dell’ingiustizia è dominante“, noi continuiamo a sperare che, prima o poi, la ruota della buena suerte girerà a favore di chi crede e continua a combattere, ogni giorno, in nome dell’equità, dell’eticità e della solidarietà.
<<La giustizia è l’utile del più forte?
Trasimaco, Socrate e il dottor Davigo
Alle dichiarazioni di Piercamillo Davigo – la classe dirigente quando delinque fa più vittime di qualunque delinquente di strada – ha risposto, tra gli altri, Bruti Liberati: “Non esiste una magistratura buona contro un’Italia di cattivi”. Il tema della giustizia si fa rovente. L’argomento è antico, Platone gli dedica il primo (e buona parte del secondo) libro della “Repubblica”.
Il grande ateniese può aiutarci a capire il presente? Credo proprio di sì, più di quanto si possa immaginare. Lo scontro in atto, ormai da molti anni – dicono alcuni – è tra politica e magistratura. Sembra un’ovvietà. La frase contiene, invece, un primo errore. Il magistrato che indaga e processa un politico non commette ingerenza: fa il suo mestiere. È un dato evidente, quanto l’altro: troppi politici odiano essere indagati e provano – con leggi, decreti, stroncature di carriere… – a neutralizzare/bloccare il normale corso della giustizia. Dicono: i giudici parlino con le sentenze (Renzi) ma fanno di tutto affinché non si arrivi a sentenza. Mentono.
Platone giustifica la menzogna (“la nobile menzogna”) se il governante la utilizza a fin di bene. Il bene della Polis, anzitutto: “E se a qualcuno sarà dato il diritto di mentire; questo spetta soltanto a chi ha il governo della città… quando lo esiga l’interesse dello Stato”. Prima di Machiavelli il tema del rapporto tra mezzi e fini è impostato da Platone. Dunque. Dunque, si tratterà di capire, anzitutto, se certi mezzi abbiano o meno come finalità il bene collettivo. Insomma: Renzi, quando difende i banchieri, fa l’utile dei risparmiatori? Quando difende i petrolieri, fa l’interesse della comunità e dell’ambiente?
L’impressione, in verità, è che si schieri sempre coi ceti e le classi e le persone più potenti. Domanda: il Premier considera per caso la giustizia l’utile del più forte? Il tema – ben noto a Platone – è di stretta attualità sia per la posizione lucida e coerente assunta dal presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Davigo, sia per la reazione scomposta che la politica (esclusi i 5Stelle) ha avuto alle sue parole. Molti politici si considerano intoccabili – complice certa stampa –, una vera casta attenta ai propri interessi. È la posizione del sofista nel dialogo con Socrate: dimmi, o Trasimaco, cos’è la giustizia? La giustizia è l’utile del più forte (Repubblica, I, 340 C- 341 C). Troppi fatti vanno in questa direzione: dagli interventi in favore di chi evade; alla depenalizzazione dei reati, alle norme pro impunità: col denaro e buoni avvocati si arriva alla prescrizione (appunto: l’utile del più forte).
E allora: cosa accade davvero quando un uomo integro e capace, Davigo, difende i magistrati? “Dire che devono parlare solo con le sentenze equivale a dire che devono stare zitti”. Accade che le sue parole brucino come “il fuoco della verità sulla pelle putrida della menzogna”. E allora via al contrattacco. Legnini: Davigo “alimenta un conflitto di cui il Paese non ha bisogno”. Ma quale conflitto!? I magistrati devono parlare/dire le condizioni in cui versa la giustizia, difendere la collettività dagli abusi del potere – Montesquieu: “il potere limita il potere”; il Fatto Quotidiano lo ricorda da sette anni; MicroMega da trenta; possibile che Cantone e Legnini l’abbiano dimenticato? –, non si tratta di alimentare conflitti ma d’impedire che certi politici straripino/abusino senza rispetto per il bene pubblico. Bene di tutti, anche degli ultimi. In fondo, è la vecchia questione posta da Platone. Socrate capovolge la tesi di Trasimaco: il giusto governante è chi cerca (anche) l’utile del più debole (342 C – 343 A). Ovvero, del ceto popolare, quello che Renzi deride, schierandosi, contro il sindacato, con Marchionne. Siamo in presenza del capolavoro politico della borghesia imprenditrice orientata a destra: si fa rappresentare dal leader della sinistra.
Può meravigliare, dunque, se i cittadini vedono nei magistrati, come nel ’92, la tutela del diritto e della giustizia? Si dice: è “barbarie giustizialista”. Si delegittima o si deride la magistratura (“brr che paura”). Spesso funziona. Platone racconta la tragica sorte del giusto e la fortuna dell’ingiusto (361 D – 362 D) e i motivi per cui la cultura dell’ingiustizia è dominante (365 A – 366 B). Sono pagine interessanti, vengono dal passato ma parlano di noi. Davigo, con splendido senso del proprio ruolo, ne è l’interprete migliore, smonta, oggi, i sofismi del potere: “I politici non hanno smesso di rubare; hanno smesso di vergognarsi.” Il malaffare è aumentato. Ergo: al magistrato il compito di perseguire i reati. Alla filosofia – direbbe Platone – quello di curare l’anima da vizi e corruzione. Insomma, l’etica pubblica. Ma questo è un altro discorso>>.