obbligo di mantenimento e assistenza familiare

La violazione dell’obbligo di mantenimento e assistenza familiare.
Disciplina normativa e giurisprudenziale con particolare riferimento al trattamento sanzionatorio della reclusione.

Spesso può verificarsi che il coniuge obbligato dalla sentenza di separazione o divorzio venga meno all’obbligo di versare all’ex consorte le somme stabilite, e destinate al mantenimento dei figli.

Tale circostanza può comportare conseguenze giuridiche sia in ambito civile che penale.

Per ciò che concerne l’ambito civile l’avente diritto può avvalersi degli strumenti stabiliti all’art. 156 c.c. (in particolare il comma VI “in caso di inadempienza, su richiesta dell’avente diritto, il giudice può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all’obbligato, che una parte di essa venga versata direttamente agli aventi diritto”).

In campo penale, invece, l’art. 570 c.p. stabilisce che “chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori, alla tutela legale, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da centotre euro a milletrentadue euro.
Le dette pene si applicano congiuntamente a chi: 1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge; 2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa…”.

Ponendo particolare attenzione all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, è opportuno osservare come tale fattispecie comporta il trattamento sanzionatorio più grave, comportando l’applicazione congiunta della multa e della reclusione fino ad un anno. Per tale ragione preme illustrare – alla luce delle pronunce giurisprudenziali – quali sono le ipotesi in cui oltre alla configurazione del reato può essere applicato il trattamento sanzionatorio della reclusione.

In merito a tale reato l’orientamento della Suprema Corte è ormai del tutto pacifico nel ritenere che si configura la violazione de qua, qualora – in ragione del mancato versamento dell’assegno – i minori versino in stato di bisogno, ossia nella condizione di non poter soddisfare le esigenze di vita primarie di cui necessitano (Cass. sent. n.44629 del 05.11.2013).

Affinché il “mancato mantenimento” possa considerarsi un reato punito con la reclusione occorre che siano venuti a mancare ai familiari i cosiddetti mezzi di sussistenza.
Quindi, la responsabilità penale più grave dell’ex coniuge non scaturisce in modo automatico per il semplice mancato versamento del mantenimento, ma dipende dal verificarsi di uno stato di bisogno dell’avente diritto.

Gli orientamenti giurisprudenziali sono contraddistinti da particolare rigidità e ciò si deve all’intento di tutelare i soggetti deboli (i figli minori) che senza il contributo del coniuge obbligato si troverebbero sprovvisti dei mezzi necessari per la propria sussistenza (Cass. penale sez. VI 20 novembre 2014 n.53607).

In merito al mancato versamento del mantenimento stabilito in sede civile, i giudici hanno avuto modo di precisare che tale condotta configura, al contempo, due violazioni di legge.

Infatti, sussiste violazione degli obblighi di assistenza inerenti la responsabilità di genitore o la qualità di coniuge (richiamate anche dalla legge sul divorzio) e di cui al comma 1 dell’art. 570 c.p.; ed altresì sussiste violazione della norma penale di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n.2, se il genitore non provvede a fornire ai figli minori anche i mezzi di sussistenza, necessari per le esigenze di vita primarie.

Sulla base del ragionamento giuridico appena richiamato e condiviso dalla Corte, il mancato versamento dell’assegno realizzerebbe quindi un concorso apparente di reati. Su tale punto, la Cassazione ha chiarito che il genitore separato che fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori, omettendo di versare l’assegno di mantenimento, commette un unico reato, previsto dall’art. 570 c.p., comma 2, n. 2 (Cass. penale, sez. VI, sentenza 05/11/2013 n° 44629). La violazione meno grave, e cioè l’omissione di versamento dell’assegno di mantenimento, perde pertanto la sua autonomia e – per il principio di assorbimento volto ad evitare il bis in idem sostanziale – viene ricompresa nella accertata sussistenza della più grave violazione della norma prevalente per severità di trattamento sanzionatorio (e cioè aver fatto mancare i mezzi di sussistenza nei confronti del beneficiario dell’assegno di mantenimento). In ogni caso sarà il medesimo organo giudicante a stabilire il ricorrere del reato per irrogare la pena secondo gradualità e prevedendo o meno la reclusione.

La rigidità degli orientamenti giurisprudenziali relativi alle condotte di cui all’art. 570 comma 2, n.2 si manifesta altrettanto nella configurazione del reato penale qualora l’ex coniuge obbligato abbia altresì versato solo parte della somma stabilità a titolo di mantenimento se la prole versa in stato di bisogno.

In materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, infatti, la minore età dei destinatari dei mezzi di assistenza costituisce di per sé una condizione soggettiva dello stato di bisogno, che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurandone i mezzi di sussistenza.
Da ciò consegue che sussiste il reato di cui all’art. 570, comma 2, c.p. anche quando uno dei genitori ometta parzialmente la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili e al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l’altro genitore (Corte App. Roma sez. III 28 gennaio 2016 n. 305).

Per evitare l’applicazione delle sanzioni penali, il genitore inadempiente dovrà invece dimostrare il verificarsi di circostanze oggettive che abbiano impedito l’osservanza dell’obbligo imposto dal giudice.

In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’incapacità economica dell’obbligato – intesa come impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati dall’art. 570 c.p. – deve essere assoluta e deve altresì integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti (Cass. pen. sez. VI 12 novembre 2015 n. 47287).

Tuttavia non sarà sufficiente documentare in giudizio il proprio stato di disoccupazione. La disoccupazione, infatti, non impedisce di poter provvedere all’obbligo del mantenimento ricorrendo ad altre disponibilità patrimoniali, della cui inesistenza deve essere sempre il genitore obbligato a dar prova. Il mero stato di disoccupazione, dunque, non esime da responsabilità per l’omessa prestazione dei mezzi di sussistenza (Cass. penale sez VI 16 marzo 2016 n. 15432).

Il soggetto imputato potrà altresì non subire una condanna qualora riesca a dimostrare che la violazione dell’art. 570, comma 2, n. 2 si sia verificata in modo incolpevole e involontario, comunque derivando da cause e circostanze indipendenti dalla propria volontà. Si pensi ad es. ad una grave ed improvvisa perdita economica e/o al licenziamento dalla propria azienda.

Ciò non esclude, però, la possibilità di punire la violazione dell’obbligo nell’ipotesi in cui si dia prova in giudizio che l’imputato abbia previsto che, a seguito del proprio comportamento tenuto (ad esempio le dimissioni), avrebbe causato lo stato di bisogno degli aventi diritto e, tuttavia, ne abbia accettato il rischio (dolo eventuale).

Lascia un commento