Imputato per lo stesso fatto, la duplicazione dei procedimenti penali

Imputato per lo stesso fatto in due procedimenti penali differenti: che fare?

Caso concreto: Tizio attende la prima udienza di un processo in cui è chiamato a rispondere del reato di omissione di lavori in edifici che minacciano rovina (ex. art 677 c.p.). Nel frattempo, gli viene notificato un avviso di conclusione indagini per il medesimo reato, commesso nello stesso luogo, per un periodo di tempo più esteso rispetto al primo e realizzato in concorso con altre 13 persone.

Tizio è imputato per lo stesso fatto in due procedimenti penali differenti: che fare? Il caso sembra evocare il principio del ne bis in idem, consacrato dall’art. 649 c.p.p. Tale principio consiste nel divieto di un secondo giudizio e garantisce a chiunque venga condannato o assolto con sentenza definitiva, di non essere di nuovo processato per il medesimo fatto.

A ben vedere, nel caso in esame, non ricorre una sentenza di assoluzione né, tantomeno, una sentenza di condanna. Si tratta di un caso di litispendenza in cui un soggetto subisce due diversi procedimenti penali per la medesima condotta delittuosa.

Non esiste una disciplina codicistica specifica e, infatti, il principio di diritto applicabile in tali casi è stato definito dalle Sezioni Unite con la sentenza n.34655/2005.  In particolare, si fa riferimento alle situazioni di litispedenza che :
– non sono riconducibili nell’ambito dei conflitti di competenza ex art. 28 c.p.p;
– hanno ad oggetto il medesimo fatto attribuito alla medesima persona;
– sono state instaurati ad iniziativa del medesimo ufficio del pubblico ministero;
– sono devolute (anche se in fasi o gradi diversi) alla cognizione di giudici della stessa sede giudiziaria.
Tali fattispecie devono essere risolte dichiarando nel secondo processo (ossia quello incardinato in epoca successiva), l’impromuovibilità dell’azione penale in applicazione del suindicato principio generale del ne bis in idem.

Tuttavia, nel caso di specie, si potrebbe optare per una strategia processuale basata sulla riunione dei processi e non la dichiarazione di improcedibilità della seconda azione penale.

In punto di diritto, la condizione per chiedere la riunione è la pendenza dei processi nello stesso stato e grado davanti al medesimo giudice. Inoltre, occorre che ricorri una delle situazioni elencate dall’art. 17 c.p.p, tra le quali rientra la sussistenza di un reato commesso da più persone in concorso, come nel caso in esame.
Appena verrà esercitata l’azione penale nel secondo procedimento, i due processi penderanno nello stesso stato e grado davanti al medesimo giudice e ci saranno tutti i presupposti per disporre la riunione.

La riunione dei processi permetterebbe un accertamento della verità e del fatto di reato contestato a Tizio alla luce delle condotte delle altre 13 persone indagata nella qualità di proprietari (o soggetti obbligati alla manutenzione) dell’edificio che minaccia rovina.

Al difensore di Tizio conviene, quindi, chiedere un rinvio nel processo iniziato per prima, permettendo, nel frattempo, che venga esercitata l’azione penale nel secondo procedimento penale per poi procedere alla riunione.

Tale strategia processuale non è in contrasto con il dettato delle Sezioni Unite che, nella motivazione della summenzionata sentenza, hanno specificato che è da evitare la prassi di “frenare” il corso del primo processo in modo che l’altro possa pervenire alla stessa fase o grado e ne sia, quindi, possibile la riunione, ovvero di sospendere il processo successivo sino a quando il primo si concluda con una sentenza irrevocabile che renda applicabile la regola del ne bis in idem di cui all’art. 649 c.p.p. Infatti, la ratio che sottende il ragionamento logico-giuridico della Corte, è ispirata anche al rispetto dell’economia procedimentale e, nel caso di Tizio, il rispetto e la piena attuazione di tale principio si ottiene proprio attraverso la riunione dei processi e non mediante un’eccezione d’impromuovabilità dell’azione penale.

Imputato per lo stesso fatto 

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