Responsabilità medica equipe

responsabilità medica d’equipe e principio di affidamento alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali

Il tema della responsabilità medica medica ha assunto rilevanza sempre maggiore durante il corso degli anni, impegnando dottrina e giurisprudenza in una elaborazione costante di criteri utili ad individuarne i profili di responsabilità.
Tra gli argomenti connessi al tema appena richiamato merita grande interesse quello della valutazione della colpa nell’attività medica d’équipe.
E’ ormai noto come l’evoluzione scientifica della medicina abbia comportato l’elaborazione di sistemi sanitari e curativi complessi, ove si innestano attività medico-ospedaliere rese da più specialisti che intervengono in regime di collaborazione e compartecipazione.
In tali contesti il personale medico sanitario fornisce prestazioni professionali avendo l’obbligo di osservare differenti norme cautelari al fine di non compromettere l’integrità psico-fisica del paziente e danneggiare il bene vita costituzionalmente tutelato.
Partendo da tale dato di fatto è apparsa evidente la necessità di individuare criteri di individuazione della responsabilità medica fra i componenti di una equipe che agendo in strutture organizzate pongono in essere illeciti colposi.
A tal proposito è opportuno premettere che il lavoro di équipe trova collocazione nell’alveo della responsabilità di attività pluripersonali concorrenti. L’eventuale responsabilità penale degli operatori è ascrivibile nell’ambito della cooperazione colposa.
Consolidata giurisprudenza, evidenzia poi come il discrimen tra la cooperazione nel reato colposo ed il concorso di cause colpose indipendenti risieda nella “consapevolezza da parte dell’agente, che anche altri siano investiti dello svolgimento di una determinata attività. Atteso che la condotta dei componenti dell’équipe medica è contraddistinta dall’agire unitariamente verso l’unico scopo della tutela della salute del paziente, l’eventuale responsabilità penale va ascritta nell’ambito della cooperazione colposa” (Cass. Pen. sez. IV, 10 dicembre 2009, in Cass. Pen. 2011, 168. In senso conforme Cass. sez. IV, 29 aprile 2009, n.26020, CIPPICA, in Ced cass., n. 243932; Cass. sez. III, 9 gennaio 2009, n.15707, in cass. pen. 2010, p. 626; Cass. sez. III, 9 gennaio 2009, n. 15708; l’orientamento è stato tracciato da SS. UU. 25 novembre 1998, n. 15, in Cass. pen. 1999, p. 2084 sulla responsabilità medica).
In tema di responsabilità medica d’equipe occorre dunque valutare se, oltre che all’espletamento della propria professione nel rispetto delle leges artis, il medico sia tenuto altresì alla verifica e controllo dell’operato degli altri sanitari e se può essere chiamato a rispondere del fatto illecito materialmente causato dal compartecipe dell’attività curativa resa.
Con riferimento a tale questione, dottrina e giurisprudenza hanno elaborato un corollario generale individuando due importanti assunti:
– il comportamento del medico deve essere improntato alla corretta osservanza delle regole cautelari di diligenza prudenza e perizia adottabili da un agente modello del settore specialistico;
– il sanitario che svolge la propria professione in gruppo pone affidamento nel corretto comportamento altrui.
In particolare, la dottrina si è espressa affermando che, qualora la condotta colposa posta in essere dal singolo medico si sovrapponga a quella di altri sanitari, il precetto concreto di diligenza a cui attenersi nel caso concreto dovrà far riferimento al c.d. “principio di affidamento”, in base al quale ogni soggetto non dovrà ritenersi obbligato a delineare il proprio comportamento in funzione del rischio di condotte colpose altrui, atteso che potrà sempre fare affidamento sul fatto che gli altri soggetti agiscano nell’osservanza delle leges artis  (M.Mantovani, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, Milano, 1997).
Il principio dell’affidamento funge, dunque, da contemperamento alla colpa medica che può configurarsi in capo ai sanitari che operano in regime di collaborazione e compartecipazione. L’applicabilità di detto principio è comunque subordinata al sussistere di determinate condizioni fattuali e pratiche.
In base a tale precisazione distinguiamo, infatti, limiti applicativi all’affidamento in relazione ai rapporti paritetici o gerarchicamente subordinati che intercorrono tra i membri dell’équipe medica.

I.Principio di affidamento e responsabilità medica tra soggetti paritetici
Nel caso di rapporti tra medici aventi analoga posizione gerarchica ma differente qualifica professionale, la divisione del lavoro tra i componenti l’equipe può definirsi di tipo orizzontale. In tale contesto, infatti, tutti i sanitari svolgono le proprie mansioni in modo indipendente, attenendosi alle leges artis dello specifico settore di specializzazione, e per tale ragione si configurano sfere settoriali di competenza differenti, che limitano la responsabilità di ognuno.

Riguardo a tale ipotesi recente giurisprudenza ha stabilito che nel caso di équipe chirurgica, ed in generale, in ipotesi di cooperazione medica multidisciplinare anche svolta non contestualmente, ogni sanitario è tenuto ad osservare gli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività per il raggiungimento del fine comune ed unico: la cura del paziente.
In ossequio a tale principio, però, ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega, anche se specialista in altra disciplina, né può esimersi dal controllarne la correttezza, ponendo eventualmente rimedio ad errori altrui che siano evidenti, grossolani e non settoriali, e dunque, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio (Cass. Pen. sez. IV sent. n. 7346 del 8.7.2014; vedi anche Cass. Pen. n. 18548 del 24.1.2005 sez. IV, Miranda e altri, Rv. 231535; Cass. Pen. n. 33619 del 12.7.2006 sez. IV, Iaquinta, Rv. 234971; Sentenza n. 46824 del 26/10/2011 Rv. 252140, Castellano e altri;
Sez. 4, Sentenza n. 43988 del 18/06/2013 Rv. 257699 sulla responsabilità medica equipe).
La pronuncia richiamata chiarisce come, seppur sia riconosciuta l’operatività del principio di affidamento, esso abbia una valenza circoscritta, laddove si afferma che: nel caso di collaborazione multidisciplinare sussiste un obbligo di controllo sull’operato altrui, specialmente quando questo sia caratterizzato da errore manifesto, la cui percezione può ben permettere la previsione di un evento lesivo causato da una condotta colposa.
Sembra, invece, essere pacifico che il principio menzionato non trovi applicazione per quei soggetti che a loro volta vertono già in una situazione di colpa (Cass. sez. IV 19.6.2006, in Guida al dir. 2007, fasc. n.2, 94) giacché “in tema di reato colposo, a fronte di uno specifico obbligo di garanzia, di cui si assume l’osservanza, mai potrebbe invocarsi legittimamente l’affidamento del comportamento altrui quando colui che si affida sia già in colpa per aver violato determinate norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte e, cionostante, confidi che altri, pure tenuto, magari a diverso titolo, ad assumere una condotta prudenziale per prevenire il verificarsi di eventi dannosi, elimini la violazione o ponga rimedio all’omissione”.

II.Responsabilità medica del capo-équipe
Un ulteriore e rilevante contemperamento del principio testé richiamato è rappresentato dalla posizione di garanzia qualificata che medici in posizione apicale assumono durante lo svolgimento dell’attività medico ospedaliera.

In merito a tali posizioni dottrina e giurisprudenza si dimostrano particolarmente rigide nei confronti della figura del capo équipe, prevedendo severi obblighi di supervisione, controllo, coordinamento e direzione dell’operato degli altri medici, che deve essere volta anche a correggere, laddove necessario, eventuali errori da questi commessi. (Cass. Pen., sez. IV, 05/05/2015,  n. 33329).
L’attività di regia svolta e riconosciuta in relazione alla figura del capo équipe attiene, inoltre, non solo allo svolgimento dell’intervento chirurgico, ma anche alla fase di preparazione dell’attività medico sanitaria utile ad affrontare il verificarsi dei rischi connessi all’esito dell’operazione.
Con pronuncia n. 44830 dell’11.10.2012 la S.C. ha riconosciuto la responsabilità penale nei confronti del capo équipe per la morte di un paziente verificatasi a causa della mancata predisposizione ed attuazione di apprestamenti volti a fronteggiare una crisi respiratoria, rischio tipico in presenza delle caratteristiche personali del medesimo paziente e delle peculiarità dell’intervento chirurgico eseguito.
Nonostante l’approccio rigido manifestato, in alcuni casi la giurisprudenza ha comunque circoscritto l’ambito di responsabilità imputabile al capo équipe, rapportando le proprie funzioni di controllo e supervisione, alla dimensione pratica e concreta dell’attività sanitaria; ciò al fine di non attribuire a tale figura una responsabilità penale generalizzata derivante da eventi lesivi verificatisi in danno al paziente.
E’ esclusa una responsabilità concorrente del capo équipe qualora questo stesso abbia correttamente adempiuto al duplice dovere di controllo e coordinamento, disponendo una adeguata ripartizione dei vari compiti tra i componenti del gruppo, al fine di garantire la copertura di tutte le esigenze che l’intervento comporta. Inoltre, è esclusa responsabilità per colpa medica allorquando sia in questione un sapere altamente specialistico che giustifica la preminenza del ruolo decisorio e della conseguente responsabilità della figura che è portatrice delle maggiori competenze specialistiche e che, quindi, sola, risponde dell’errore compiuto (nella specie, in cui la morte della paziente era da ricondursi all’errore grave dell’anestesista, è stata riconosciuta anche la responsabilità medica del chirurgo capo équipe, sul rilievo che il tema afferente alla tipologia di anestesia – cui era da ricondurre l’evento letale – interferiva con quella riguardante il controllo dell’edema e delle funzioni respiratorie rilevanti ai fini dell’intervento, e sull’ulteriore rilievo che rientrava anche nelle competenze del chirurgo otorino la ponderazione delle implicazioni connesse al tipo di anestesia praticata dall’anestesista. Cassazione penale, sez. IV, 05.05.2015, n. 33329, Guida al diritto 2015, n. 40, p. 73).
III.Responsabilità medica del primario
Altra figura medico-ospedaliera posta in posizione apicale è quella del primario ospedaliero. A tal riguardo è opportuno chiedersi se tale soggetto possa essere chiamato a rispondere di eventuali comportamenti colposi posti in essere da medici che operano all’interno del reparto.

Secondo la previgente normativa delineata dall’art. 7, comma 3, del d.p.r. 27-03-1969 n. 128 e dall’art. 63, comma 5, del d.p.r. 20-12-1979 n. 761, il primario assume un generico obbligo di garanzia nei confronti del paziente. Questo esercita un controllo sull’attività e sulla disciplina del personale sanitario, definisce i criteri diagnostici e terapeutici che devono essere eseguiti dagli aiuti e dagli assistenti nella cura dei malati. Esercita, dunque, funzioni di indirizzo e verifica sulle prestazioni di cura e diagnosi, vigilando che esse siano eseguite correttamente, nel rispetto dell’autonomia operativa del personale assegnatogli. Nonostante il susseguirsi della riforma della dirigenza ospedaliera operata con Dlgs. 30-12-1992, n. 502 e con Dlgs. 19-06-1999, n. 229, la posizione della giurisprudenza sembra essere rimasta lineare e coerente con gli orientamenti espressi in passato (Cass. pen. 30.1.01, sez. IV, Ripoli, Guida al Diritto, 2001, n. 15, 90; Cass. pen. 19.1.99, Montagner, Cassazione Penale, 2000, 583).
Alla stregua di tali disposizioni la giurisprudenza ha quindi confermato in capo al primario di reparto una specifica posizione di garanzia nei confronti dei suoi pazienti, alla quale non può sottrarsi. Il primario non può, infatti, invocare il principio di affidamento poiché è tenuto al ruolo di supervisione nei confronti degli altri terapeuti presenti nel reparto, anche quando i pazienti sono ad essi affidati. Con recente sentenza, la Cassazione ha condannato il primario ospedaliero responsabile di aver trascurato l’aggravarsi del quadro clinico di un paziente che, nonostante avesse manifestato evidenti sintomi patologici, non aveva ricevuto cure immediate, necessarie ad evitarne la morte (Cass. Pen. sez. IV, sentenza nr. 4985 del 7.1.14).
La contemperanza tra l’esigenza di tutela del paziente e l’attribuzione non generalizzata di responsabilità in capo al dirigente medico, può trovare soluzione liberatoria dalla responsabilità omissiva solo in situazioni specifiche e fondate. Esse possono inquadrarsi nell’avere adeguatamente formato il medico collaboratore per casi semplici o quanto meno non complicati, e non avervi adempiuto il sanitario; nel non esservi stato tempo materiale per l’informazione, dato che il collaboratore ha repentinamente omesso il trattamento sanitario necessario, causando immediatamente l’irreparabilità delle lesioni o del decesso, senza possibilità materiale di intervento del dirigente apicale.
Infine, il dovere di verifica si attua con due diversi comportamenti. Il primo è di carattere generale, dovendo il dirigente di struttura informarsi della situazione generale del reparto; il secondo è di carattere specifico, in quanto, venuto a conoscenza, o comunque avendo la possibilità di venirne a conoscenza, di una situazione in cui le leges artis necessitano di una particolare competenza per la complicanza del caso, sia essa dovuta alla difficoltà terapeutica ovvero al pericolo non trascurabile per la salute del paziente, deve fornire il proprio contributo determinante per la migliore assistenza medica che il caso richiede. (Cass. Pen. sez. IV, 29.09.2005, n. 14745; v. anche Cass. sez. IV° 17.11.1999 – 18.1.2000 n. 556).
IV.responsabilità medica dei subordinati
Altro tema inerente alla responsabilità medica d’équipe è quello della responsabilità configurabile in capo al subordinato per il fatto colposo del superiore.

Tale questione è stato oggetto di approfondimenti da parte della giurisprudenza anche in tale ambito ha manifestato un atteggiamento rigoroso, propendendo in ogni caso per la responsabilità del medico subordinato: sia qualora questi abbia cagionato l’evento lesivo in esecuzione di una direttiva o di un ordine; sia qualora l’evento lesivo sia stato direttamente cagionato da una condotta del superiore, alla quale il subalterno abbia collaborato con acquiescenza.
La rigida posizione espressa dai giudici muove da un assunto interpretativo che considera il medico assistente soggetto in grado di conservare la propria autonomia decisionale nonostante la sussistenza di un rapporto gerarchico.
In tale ottica, una pronuncia della S.C. ha affermato che “l’art. 63 D.P.R. 20.12.1979, n. 761 non attribuisce al medico in posizione iniziale (assistente) il ruolo di mero esecutore di ordini, ma ne valorizza invece l’autonomia professionale, di talché l’assistente ospedaliero ha il dovere di contribuire dialetticamente alla sezione del trattamento sanitario da intraprendere, così come verificare la validità delle istruzioni ricevute, astenendosi dalla attuazione di quelle intrinsecamente colpose, residuando a carico del primario soltanto il potere finale di imporre le proprie scelte, assumendosene l’intera responsabilità” (Cass. Pen. sez. IV, 18.1.2000, in Dir. Pen. e proc., 2000, 12, 1626, (e anche in Cass. Pen., 2001, 154; e Guida al dir., 2000, 95 – per la sentenza di primo grado: v. Pret. Caltanissetta, 27.10.1995, in Foro It., 1997, II, 418 sulla responsabilità medica equipe)
Anche la giurisprudenza più risalente aveva avuto modo di chiarire come il rapporto di subordinazione tra sanitari non possa considerarsi in alcun caso tanto assoluto e vincolante da far ritenere che il sottoposto, nell’uniformarsi alle disposizioni del superiore che realizzino una condotta colposa, non vi cooperi volontariamente, e pertanto da esonerarlo da responsabilità per evento non voluto cagionato dalla medesima condotta (cfr. Cass. Pen. sez. IV, 17.6.1959).
L’assistente potrà considerarsi esentato da eventuali responsabilità qualora durante la formulazione della terapia o della diagnosi – avvedendosi di elementi sospetti o difformi – li abbia opportunamente segnalate al medico gerarchicamente superiore che nonostante ciò abbia deciso di non approvare le indicazioni del sanitario di grado inferiore (cfr. Cass.Sez. IV, 28 giugno 1996, Cortellaro, in Cass.pen. 1997, 3034).

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