Il diritto all’oblio e il diritto di cronaca

Diritto all’oblio su internet e Diritto di cronaca. La pronuncia della prima sezione della Corte di Cassazione n. 13161 del 24 giugno 2016, sez. I Civile.

La recente pronuncia della Suprema Corte riguarda la vicenda di un soggetto che – coinvolto in una vicenda giudiziaria penale – aveva richiesto ad un sito di informazione locale di rimuovere dal proprio archivio web la notizia di cronaca ormai datata ed inerente i fatti giudiziari che lo riguardavano.
Lo stesso soggetto aveva inoltre richiesto il risarcimento dei danni derivanti dalla permanenza dell’informazione ben oltre la richiesta di cancellazione da questo indirizzata al direttore della redazione locale.

Prima di procedere all’analisi della sentenza, pare opportuno effettuare una premessa sul diritto all’oblio e sul rispetto del diritto di cronaca.
Con l’espressione “diritto all’oblio”, si intende il diritto di un soggetto alla non diffusione di fatti o circostanze che possano essere pregiudizievoli per il suo onore.

In assenza di valide e comprovate motivazioni è, infatti, illegittimo diffondere statistiche relative a condanne ricevute da parte di un soggetto ovvero notizie giudiziarie di analogo tenore. La diffusione di tali informazioni assume invece piena legittimità quando attiene a vicende o fatti per i quali sussiste un interesse di conoscenza concreto e attuale per la comunità pubblica e per cui è assolto il diritto di cronaca.
Anche in tale ipotesi la pubblicità dei fatti diffusi a mezzo stampa o a mezzo internet deve essere commisurata all’importanza dell’evento e al tempo trascorso dall’accaduto.

Il diritto all’oblio può quindi essere indentificato quale diritto di matrice giurisprudenziale, secondo cui nessun soggetto può restare esposto a danni all’onore e alla reputazione derivanti dalla reiterata pubblicazione o diffusione di una notizia per un tempo indefinito.

Il nostro sistema giuridico tende pertanto ad un sistema di equilibrio tra: diritto alla riservatezza garantito ad ogni cittadino e diritto di informazione dei cittadini.
Sulla base di tale considerazione e con riferimento al diritto di cronaca è opportuno rilevare che esso è considerato diritto pubblico soggettivo, tutelato dall’art. 21 della Costituzione ed inerente la libertà di pensiero e di stampa.
Al giornalista è, infatti, consentito di portare a conoscenza dell’opinione pubblica fatti e notizie che assumono rilevanza sociale sebbene essi possano comportare la lesione dell’altrui reputazione.

Come osservato, il diritto di cronaca riscontra però dei limiti ben precisi nel suo esercizio. Già da tempo, consolidata giurisprudenza ha avuto modo di chiarire i requisiti necessari affinché ricorra l’efficacia scriminante del diritto menzionato.
In via generale questi possono individuarsi:
nell’interesse sociale dei fatti narrati per l’opinione pubblica;
nella continenza di linguaggio;
nella verità dei fatti riportati (Cass. Pen. Sez. V, 16.12.2004 – 4.2.2005 n. 4009; CED 230719; Cass. Pen. Sez. V, 23.4.2009 – 3.9.2009, n. 33857, ivi 244909; Cass. Pen. Sez. V, 5.4.2000 – 22.5.2000, n. 5941, CP 01, 1204).

In tale prospettiva, non può non annoverarsi il parametro della attualità della notizia; ciò nel senso che una delle ragioni fondanti della esclusione della antigiuridicità della condotta lesiva dell’altrui reputazione è ravvisata nell’interesse generale alla conoscenza del fatto, ossia nell’attitudine della notizia a contribuire alla formazione della pubblica opinione (Cass. Pen. Sez. V, 11.5.2012, n. 39503 Rv. 254789; Cass. Pen. Sez. V, 26.9.2014, n. 48712).

Deve, pertanto, sussistere un interesse effettivo e attuale alla diffusione di avvenimenti di cronaca da far apprendere nella collettività (Cass. Pen. Sez. V 7.10.2010 – 26.10.2010, n. 38096, CED).

Sussistono però dei fatti gravi e di importanza cruciale per i quali l’interesse pubblico permane nel tempo.
Ad eccezione di tali ipotesi, il diritto all’oblio viene generalmente riconosciuto dal momento in cui cessa l’interesse pubblico intorno ad un fatto; solo allora, il soggetto protagonista o coinvolto nella vicenda negativa, riacquisirà nuovamente il proprio diritto alla riservatezza e ad essere dimenticato.

Effettuata tale premessa sul diritto di cronaca e sul diritto all’oblio, di recente si è assistito ad un’altra importante pronuncia della Cassazione in merito tali temi.

Con sentenza n. 13161 del 24 giugno 2016, la I sezione civile della Suprema Corte ha, infatti, stabilito che costituisce illecito trattamento di dati personali la permanenza online di un articolo, pubblicato due anni prima ed avente ad oggetto l’esistenza di un procedimento penale, ancora pendente dinanzi al Tribunale.

La vicenda in questione attiene all’ottobre del 2010, epoca in cui un soggetto lamentava la violazione del proprio diritto all’oblio a causa del fatto che – per oltre due anni e sin dal 2008 – un sito di informazione locale riportava la notizia di un proprio coinvolgimento in una vicenda di natura penale non ancora definita.

Il Giudice di prime cure aveva ritenuto violati diversi artt. del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati persoli).
In particolare l’art. 11 per il quale il trattamento dei dati persoli può avvenire per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti e trattati; l’art. 25, che vieta la comunicazione e la diffusione dei dati quando è decorso il periodo di tempo di cui all’art. 11; l’art. 7, che attribuisce all’interessato, il diritto di ottenere la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti e successivamente trattati; infine l’art. 15, per cui chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati persoli, è tenuto al risarcimento ai sensi dell’art. 2050 c.c. ed altresì del danno non patrimoniale anche in caso di violazione dell’art. 11 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.

I ricorrenti impugnavano tale decisione dinanzi alla Suprema Corte, adducendo il corretto esercizio del diritto di cronaca e affermando che la permanenza della notizia all’interno dell’archivio informatico del proprio sito web era giustificata proprio dal fatto che la vicenda penale oggetto della notizia ed inerente il titolare del ristorante non era ancora stata definita; per tale ragione permaneva l’interesse pubblico della comunità a conoscere dei fatti richiamati.

Ebbene, la Cassazione – confermando la sentenza emessa dal Tribunale di Ortona – stabilisce l’illegittimità del trattamento con circoscrizione al periodo di oltre otto mesi, dal settembre 2010 – momento in cui il ricorrente aveva inviato una richiesta di rimozione della notizia – al maggio 2011, data di cancellazione della notizia.

In particolare, l’illecito da risarcire viene individuato nel “mantenimento del diretto e agevole accesso” al servizio, nonché nella diffusione sul web oltre tempo.

E’ la stessa Corte a chiarire che l’illecito trattamento dei dati personali è stato dal tribunale specificatamente ravvisato non già nel contenuto e nelle originarie modalità di pubblicazione e diffusione on-line dell’articolo di cronaca sul fatto accaduto nel 2008, nè nella conservazione e archiviazione informatica di esso.

La violazione del diritto all’oblio si ravvisa nel mantenimento del diretto ed agevole accesso a quel risalente servizio giornalistico del marzo 2008 e della sua diffusione su web quanto meno a fare tempo dal ricevimento della diffida in data 6 settembre 2010 per la rimozione di questa pubblicazione dalla rete (attuata nel corso del giudizio).

La ricerca in rete del nome del ricorrente conduceva ad un risultato ove oltre alla home page del sito in questione, compariva il link all’articolo del 2008.

Per la Corte, infatti, la facilità di accesso alla notizia mediante internet – ben maggiore rispetto ai giornali cartacei – determina in breve tempo il venir meno dell’interesse pubblico nei confronti della vicenda che erano stati già soddisfatti da tempo.
Sulla base di quest’ultima considerazione, e ritenuto assolto l’interesse della comunità ad apprendere della notizia, il persistere del trattamento dei dati persoli ha “determinato una lesione del diritto dei ricorrenti alla riservatezza ed alla reputazione, e ciò in relazione alla peculiarità dell’operazione di trattamento, caratterizzata da sistematicità e capillarità della divulgazione dei dati trattati ed alla natura degli stessi, particolarmente sensibili attenendo a vicenda giudiziaria penale”.

Per quanto considerato la Corte ha dunque stabilito che costituisce illecito trattamento di dati personali la permanenza online di un articolo, pubblicato due anni prima ed avente ad oggetto l’esistenza di un procedimento penale, ancora pendente dinanzi al Tribunale.

Lascia un commento