Danno da atto lecito

Danno da atto lecito: la tutela del singolo condomino in caso di lesione da interventi condominiali leciti

Con una recente sentenza, la Suprema Corte di Cassazione si è espressa sul possibile riconoscimento del diritto al risarcimento del danno al singolo condomino, per aver subito ingerenze al proprio immobile, a causa di interventi condominiali realizzati in ossequio alla legge (c.d. danno da atto lecito).

In particolare, il caso giunto all’attenzione dei Giudici di Piazza Cavour riguarda l’avvenuta realizzazione di “plinti e travature” all’interno di un fondo di proprietà esclusiva di un singolo condomino, senza il previo consenso di quest’ultimo.

Trattasi di intervento posto in essere dal Condominio per ottemperare ad un’ordinanza comunale di esecuzione di lavori di consolidamento del fabbricato; dunque, un’attività imposta e realizzata per non incorrere nelle sanzioni e nelle conseguenze relative all’inosservanza di un provvedimento della pubblica autorità.

In tali ipotesi, bisogna chiedersi se esistano forme di tutela accordate al proprietario che subisce una compromissione dei propri diritti, a seguito di attività condominiale necessaria ed imposta dalla pubblica amministrazione.

La risoluzione della questione è tutt’altro che scontata, considerando che il nostro ordinamento giuridico prevede diverse forme di tutela a favore del singolo proprietario, qualora subisca un’indebita lesione al proprio diritto, mentre nulla è espressamente statuito quando siffatta lesione sia consentita o addirittura imposta dalla legge, ma realizzata da privati.

Ed infatti, in caso di lesione della proprietà individuale, attuata direttamente dalla Pubblica Amministrazione nell’esercizio della propria legittima attività “iure imperii” – si pensi ad esempio all’espropriazione per pubblica utilità – il singolo privato ha diritto ad un indennizzo.

Nella differente fattispecie in cui la compromissione sia realizzata dal Condominio, pur in ossequio ad un provvedimento pubblico, la questione si complica.

Se è pacifico che nei rapporti tra privati, un’attività illecita a danno del singolo proprietario abbia come sua logica conseguenza la restiututio in pristinum e il risarcimento del danno, in forma specifica o per equivalente, non vi è una puntuale soluzione normativa nel caso in cui tale attività sia consentita o addirittura imposta dalla legge.

La risposta al particolare quesito sopra esposto viene fornita dalla Suprema Corte di Cassazione, sez. II Civile, con la sentenza n. 25292/15, attraverso una particolare applicazione del principio di giustizia distributiva, in forza del quale, quando una determinata attività volta alla realizzazione di un’utilità collettiva implica un costo, in termini di danno o onere, lo stesso deve essere sopportato da tutti coloro che beneficiano di tale utilità.

Applicando il suddetto principio al peculiare caso posto alla propria attenzione, la Corte osserva che “l’onere necessario alla produzione di un’utilità collettiva nell’interesse di tutti i condomini deve essere proporzionalmente distribuito tra tutti i comunisti e non deve finire per gravare esclusivamente sul singolo condomino, la cui proprietà esclusiva sia risultata menomata a seguito e per effetto della realizzazione delle opere dirette a consolidare l’edificio condominiale pericolante”.

La Suprema Corte sul c.d. danno da atto lecito giunge a tali conclusioni considerando altresì che “in una situazione di coesistenza di due diritti – quello del condominio ad eseguire le opere, imposte dalla pubblica amministrazione, di consolidamento delle strutture portanti della proprietà comune, da una parte; e quello del singolo condomino a non vedersi menomato nel godimento del proprio diritto di proprietà esclusiva sulla unità immobiliare posta nello stesso edificio condominiale, dall’altra – l’obbligo di indennizzare il condomino danneggiato dall’esecuzione dell’opera costituisce la soluzione adottata dall’ordinamento giuridico per contemperare e comporre i due interessi in contrasto, nessuno dei quali appare interamente sacrificabile all’altro. Infatti, dalla coesistenza dei due diritti e dalla necessità di tutelarli entrambi deriva che, ogniqualvolta l’esercizio dell’uno provochi una menomazione dell’altro, al soggetto danneggiato nella sua proprietà esclusiva deve essere accordato un compenso equivalente al sacrificio sopportato, al fine di evitare che il peso del pregiudizio gravi interamente sulla sua sfera giuridica”.

Dopo aver delineato la corretta applicazione del principio di giustizia distributiva in ambito condominiale, nella stessa pronuncia in esame, la Corte si sofferma nell’individuazione delle fonti normative alla base del principio della responsabilità derivante da atti leciti dannosi.

Si tratta di un principio che rinviene il proprio fondamento nella protezione della proprietà privata (art. 42 Cost., e art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, emendato dal Protocollo n. 11) e, inoltre, nel precetto di cui all’art. 2041 c.c., il quale, formulato nei termini di una clausola generale, si oppone agli spostamenti patrimoniali non giustificati, che si risolvono cioè in un ingiustificato arricchimento di un soggetto a danno di un altro.

Nell’ambito dei diritti reali, del resto, l’ art. 843 c.c.(applicabile anche in materia di condominio: Cass., Sez. 2^, 30 dicembre 1967, n. 3032; Cass., Sez. 2^, 5 settembre 1969, n. 3059 sul c.d. danno da atto lecito) – nel prevedere l’obbligo di corrispondere un’adeguata indennità se l’accesso al fondo, resosi necessario al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune, ha cagionato danno – costituisce una fattispecie riconducibile al modello della responsabilità da atto lecito dannoso, basato sull’insorgenza di un obbligo indennitario in capo al proprietario autore di un pregiudizio non antigiuridico alla sfera giuridica del proprietario confinante, e mira ad evitare, in una logica di conciliazione di opposti interessi, che l’attività connessa alla costruzione o alla riparazione dell’opera propria o comune si risolva in uno svantaggio per un altro proprietario, e ciò pur al di fuori di condotte stricto sensu illecite.

Una funzione di bilanciamento tra interessi collidenti si rinviene, in materia condominiale, nella disciplina dettata dall’art. 1127 c.c. il quale – dopo aver previsto che il proprietario dell’ultimo piano dell’edificio ovvero il proprietario esclusivo del lastrico solare può, a determinate condizioni e salvo che risulti altrimenti dal titolo, elevare nuovi piani o nuove fabbriche – introduce una perequazione del vantaggio lecitamente conseguito a discapito degli altri condomini, prevedendo che in detta ipotesi debba essere corrisposta a questi ultimi un’indennità.

L’espressione “ordinamento giuridico” che accompagna, nell’art. 1173 c.c., il riferimento alla terza specie di fonti delle obbligazioni, quelle che derivano “da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”, non si risolve – contrariamente a quanto mostra di ritenere il ricorrente – in una mera indicazione riassuntiva di un elenco chiuso costituito da tutte le altre fonti (diverse dal contratto o dal fatto illecito) nominate, ossia espressamente disciplinate dal legislatore, ma consente un’apertura all’analogia, e quindi alla possibilità che taluni accadimenti, ulteriori rispetto a quelli previsti nominativamente dalla legge, siano ritenuti idonei alla produzione di obbligazioni alla luce dei principi e dei criteri desumibili dall’ordinamento, considerato nella sua interezza e complessità e nella sua evoluzione” (cfr: Cass. sez. II, 25292/2015 sul c.d. danno da atto lecito).

Attraverso le disposizioni sopra citate, secondo l’interpretazione estensiva effettuata dalla Suprema Corte, si delinea una satisfattiva risposta alla questione prospettata con riferimento alla questione del danno da atto lecito: il condomino che subisca una lesione necessaria per realizzare l’interesse dell’intero Condominio, ovvero per ottemperare a specifiche prescrizioni di legge, ha diritto ad essere adeguatamente indennizzato, non essendo conforme al principio di giustizia distributiva e alla disposizioni dell’ordinamento giuridico previste a tutela della proprietà individuale, far gravare le conseguenze lesive di un’attività lecita, esclusivamente sulla sfera del singolo proprietario.

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