Apologia Isis tra finalità repressive e preventive

Apologia Isis (Is) via internet e l’azione preventiva dello stato italiano contro la minaccia del terrorismo.

In termini generali, in un periodo in cui il pericolo (reale e, soprattutto, percepito dalla gente comune) di attacchi terroristici è molto alto, si può assistere ad una parziale compressione del diritto di libera manifestazione del pensiero.
Ma la legge penale può (e deve) essere comunque applicata nel rispetto dei principi di garanzia e tutela degli indagati/imputati.

Con la sent. n. 47489/2015, la I Sez. della Cassazione penale si è pronunciata in ordine alla legittimità dell’ordinanza n. 760/2015, emessa dal Tribunale della Libertà di Torino, applicativa della misura degli arresti domiciliari per il delitto di cui all’art. 414, comma 3, c.p., aggravato dall’art. 1, d.l. n. 625/1979 conv. nella l. n. 15/1980 (apologia Isis – associazione terroristica).

Nella fattispecie, la suddetta misura cautelare veniva disposta nei confronti di un soggetto indagato per avere fatto apologia dello Stato Islamico (associazione con finalità di terrorismo) pubblicamente, mediante la diffusione su due siti internet di un documento di propaganda e di esaltazione dell’IS, denominato: “Lo Stato Islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare”. In particolare, nel caso in esame, oggetto di apologia è il reato di associazione con finalità di terrorismo, di cui all’art. 270 bis c.p.


Art. 414 Codice Penale – Istigazione a delinquere
Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell’istigazione:
1) con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti;
2) con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a duecentosei euro, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni.
Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena stabilita nel numero 1.
Alla pena stabilita nel numero 1 soggiace anche chi pubblicamente [266 4] fa l’apologia di uno o più delitti.
Fuori dei casi di cui all’articolo 302, se l’istigazione o l’apologia di cui ai commi precedenti riguarda delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità la pena è aumentata della metà.

Art. 270 bis Codice Penale – Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico.
Chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico è punito con la reclusione da sette a quindici anni.


I tre motivi su cui si fondava il ricorso proposto dalla difesa dell’indagato erano i seguenti: a) l’assenza di un pericolo concreto, dal momento che il documento incriminato, lungi dall’istigare i suoi lettori a commettere il reato di associazione con finalità di terrorismo, si limitava esclusivamente a fornire una mera descrizione delle caratteristiche dello Stato Islamico, senza oltrepassare i confini della semplice adesione ideologica e della libera manifestazione di pensiero. In sostanza si sollecitava l’adesione ideologica all’IS, ma non ai suoi metodi terroristici; b) l’insussistenza dell’interesse giuridico tutelato dall’art. 414 c.p. ovvero la tutela dell’ordine pubblico nazionale italiano. Infatti, l’adesione allo Stato Islamico, propagandata dall’indagato, era destinata ad esplicare i propri effetti turbativi all’estero e, quindi, la legge penale italiana era inapplicabile al sodalizio in questione;
c) l’insussistenza della pubblicità della condotta richiesta dall’art. 414 c.p., dal momento che nel caso di specie la diffusione del testo su due siti internet non configurava di per sé una volontà di comunicare che si esplicava oggettivamente, cercando di raggiungere attivamente il maggior numero di soggetti.
La Corte di Cassazione, rigettando tutti i motivi di gravame proposti dalla difesa, respingeva il ricorso.
In particolare, con riferimento al primo motivo di ricorso, la Suprema Corte, riteneva adeguatamente motivata da parte del Tribunale del Riesame di Torino, la sussistenza di un pericolo concreto di commissione di delitti di terrorismo internazionale o di partecipazione, di taluno, ad un’associazione con finalità di terrorismo anche internazionale, ai sensi dell’art. 270 bis c.p.

Ciò in quanto, il documento in oggetto non esprimeva solamente un giudizio positivo su un episodio criminoso, ma così come previsto da un’interpretazione costituzionalmente orientata (ovvero nel rispetto del principio di offensività indicato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 65/1970) del delitto di cui all’art. 414, comma 3 c.p., determinava il rischio effettivo e concreto della consumazione di altri reati lesivi di interessi omologhi a quelli offesi dal crimine esaltato.

Infatti, il documento pubblicato dall’indagato, scritto in italiano e, pertanto, chiaramente rivolto a soggetti radicati sul territorio nazionale, non si limitava solo a sollecitare l’adesione ideologica al Califfato, ma: indicava la stessa come obbligatoria; presupponeva e accettava l’esecuzione di atti di terrorismo; esaltava la diffusione ed espansione dell’IS, anche con l’uso di armi; faceva riferimento a molteplici fazioni militari Islamiche; presentava personaggi ufficialmente classificati come terroristi nei documenti internazionali; conteneva link che rimandavano a siti internet facenti capo all’organizzazione terroristica.
Con riferimento al secondo motivo di ricorso, la Cassazione, riteneva sussistente la lesione dell’interesse giuridico tutelato dall’art. 414 c.p., poiché l’apologia di reato contestata all’indagato era stata realizzata in territorio italiano ed era rivolta a soggetti residenti nel nostro Paese (tanto è vero che il documento era stato scritto in lingua italiana).

Inoltre, la Suprema Corte aveva cura di rilevare che l’ISIS, la cui natura di associazione terroristica (e non di Stato Islamico) è sancita dalle Autorità internazionali, non opera esclusivamente all’estero, ma è in grado di operare contemporaneamente in più Paesi, anche in tempi diversi e con contatti fisici, telefonici o informatici, continui o sporadici, tra i vari gruppi; che ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana è sufficiente che nello stato italiano si sia compiuta in tutto o in parte una qualsiasi attività di partecipazione (proselitismo, diffusione di documenti propagandistici, indottrinamento…) del delitto di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale.

Infine, con riferimento al terzo motivo di ricorso, la Suprema Corte, riteneva integrata la natura pubblica dell’apologia, dal momento che i siti internet su cui era stato pubblicato il documento erano liberamente accessibili e, pertanto, avevano una potenzialità diffusiva indefinita, pari a quella riconosciuta alla stampa. Circostanza di cui era ben consapevole anche l’indagato, il quale su un altro sito internet sollecitava la diffusione del suo documento.

Alla luce della richiamata sentenza, appare evidente come lo Stato italiano, senza rinunciare ai principi garantistici che caratterizzano il nostro sistema penale, abbia posto in essere un’efficace azione preventiva e repressiva contro la minaccia del terrorismo islamico. Tale assunto trae fondamento dalle seguenti circostanze: l’art. 414 c.p. sull’apologia di reato (in questo caso apologia isis) è stato interpretato conformemente al principio di offensività indicato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 65 del 1970; la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è stata vagliata nel contraddittorio delle parti innanzi a tre diversi organi giurisdizionali (GIP, Tribunale del Riesame, Corte di Cassazione); infine, la misura cautelare degli arresti domiciliari applicata, è risultata essere la meno afflittiva rispetto alle esigenze cautelari prospettate.

Tutto ciò conferma come, contrariamente a quello che spesso è il sentire comune, per garantire un elevato livello di sicurezza collettiva, non sia necessariamente indispensabile ricorrere a misure straordinarie, caratterizzate dalla rinuncia ad una parte delle libertà e tutele tipiche dello Stato di diritto (come ad esempio ha fatto la Francia, in seguito ai gravi attentati subiti, rinunciando ad alcune delle previsioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo).apologia isis

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