La definizione di violenza di genere e il reato di stalking

La definizione di violenza di genere alla luce della normativa sovranazionale.
Necessario l’avviso della richiesta di archiviazione, ai sensi dell’art. 408 comma 3 bis c.p.p., anche per il reato di stalking?
la soluzione (positiva) delle sezioni unite.

Le Sezioni Unite, con sentenza n. 10959 del 29 gennaio 2016, hanno risolto una delicata questione interpretativa relativa all’art. 408, comma 3 bis, c.p.p., concernente l’onere, in capo al pubblico ministero, di notificare alla persona offesa dal reato l’avviso della richiesta di archiviazione, in tutti i casi di delitti commessi con “violenza alla persona”, a prescindere da un’esplicita richiesta del querelante.

Nella fattispecie, il quesito sottoposto alle Sezioni Unite era il seguente: “se la disposizione dell’art. 408, comma 3 bis, c.p.p., che stabilisce l’obbligo di dare avviso alla persona offesa della richiesta di archiviazione con riferimento ai delitti commessi con violenza alla persona, sia riferibile anche alla fattispecie di atti persecutori prevista dall’articolo 612 bis c.p. (c.d. stalking)”.

La Sezione rimettente, ritenendo la questione di speciale importanza (essendo anche stata motivo di contrasto tra decisioni di singole Sezioni), nel corpo dell’ordinanza, dava atto del dibattito insorto intorno alla possibilità di includere nell’alveo della disposizione in oggetto anche i reati commessi mediante atti di violenza psicologica, emotiva o di minaccia, tipica degli atti persecutori. La V Sez. della Corte di Cassazione, sottolineava, altresì, che la questione in esame era resa più complessa dalla circostanza che il testo dell’art. 408, comma 3 bis, c.p.p. (introdotto con decreto legge 14 agosto 2013, n. 93) era stato modificato, in sede di conversione, dalla legge n. 15 ottobre 2013, n. 199.

Infatti, il disposto originario del suddetto articolo prevedeva che l’avviso di deposito della richiesta di archiviazione (così come quello di conclusione delle indagini preliminari), fosse notificato alla persona offesa del delitto di cui all’art. 572 c.p. Invece, in sede di esame in Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati, ritenendo tale intervento normativo eccessivamente limitato, si era deciso di allargare le ipotesi di avviso di cui all’art. 299 c.p.p. ai procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, nel tentativo di un più ampio riconoscimento del diritto della persona offesa “alla comunicazione dei dati processuali rilevanti per i suoi interessi ed in coerenza con le indicazioni della Direttiva 2012/29/UE”. La medesima espressione era stata poi utilizzata anche per l’avviso della richiesta di archiviazione di cui al nuovo comma 3 bis dell’art. 408 c.p.p.

La modifica del testo dell’art. 408, comma 3 bis, c.p.p. in sede parlamentare, appariva come una chiara manifestazione della volontà del legislatore di utilizzare l’espressione “violenza alla persona” per ampliare l’ambito di applicazione della norma rispetto all’originaria previsione che si riferiva esclusivamente al caso di reato di maltrattamento in famiglia. Viceversa, in sede di conversione delle modifiche apportate all’art. 415 bis c.p.p., il legislatore, nel disciplinare l’obbligo del pubblico ministero di notificare l’avviso di conclusione delle indagini preliminari anche al difensore della persona offesa o, in mancanza, alla persona offesa stessa, aveva mantenuto il riferimento esplicito ai reati di cui agli artt. 572 e 612 bis c.p.p.

Tale scelta normativa, aveva dato luogo a due diverse possibili interpretazioni: la prima, secondo cui la previsione dell’obbligo di notifica alla persona offesa dell’avviso previsto dall’art. 415 bis c.p.p., anche nell’ipotesi di stalking, non poteva che suggerire un’interpretazione estensiva con riferimento alla configurazione di analogo obbligo pure per la richiesta di archiviazione; la seconda, contraria interpretazione, in base alla quale, stando al dato letterale della norma, la mancanza di un’espressa previsione dell’obbligo di notifica dell’avviso di archiviazione alla persona offesa dal reato di stalking, sarebbe indicativa della volontà del legislatore di limitare la rilevanza del reato di cui all’art. 612 bis c.p.p. solamente all’avviso di conclusione indagini.

E’ da queste due differenti interpretazioni, sviluppatesi all’interno della giurisprudenza di legittimità, che è originato il contrasto tra singole Sezioni ed è scaturita la decisione di rimettere la questione alle Sezioni Unite, le quali hanno risposto affermativamente al quesito loro sottoposto, enucleando il seguente principio di diritto: “La disposizione dell’art. 408, comma 3 bis, c.p.p., che stabilisce l’obbligo di dare avviso alla persona offesa della richiesta di archiviazione con riferimento ai delitti commessi con violenza alla persona, è riferibile anche ai reati di atti persecutori e di maltrattamenti, previsti rispettivamente dagli artt. 612 bis e 572 c.p., perché l’espressione <<violenza alla persona>> deve essere intesa alla luce del concetto di violenza di genere, quale risulta dalle pertinenti disposizioni di diritto internazionale recepite e di diritto comunitario”.

Le Sezioni Unite, dunque, si sono soffermate sulla questione dell’applicabilità o meno dell’art. 408, comma 3 bis, c.p.p. al reato di stalking, muovendo da un’ottica interpretativa improntata al rispetto della normativa sovranazionale, formatasi sulla posizione della persona offesa all’interno del processo penale. Nel fare ciò, hanno dato atto della circostanza che il fenomeno di emersione e di nuova considerazione della persona offesa all’interno del processo penale è stato sollecitato, per un verso, da varie forme di criminalità violente via via emergenti (terrorismo, tratta di esseri umani, sfruttamento di minori, violenza contro le donne in cui spesso il reato si consuma in contesti dove preesistono legami tra la vittima e il suo aggressore), per altro verso, dagli strumenti internazionali esistenti in materia. Infatti, l’interesse per la tutela della vittima, da sempre, è stato oggetto di specifica attenzione da parte degli organismi sovranazionali, che nel tempo hanno elaborato nuovi strumenti di tutela, svolgendo un ruolo di sollecitazione nei confronti dei legislatori nazionali, tenuti a dare attuazione a tali strumenti.

Nella fattispecie, le Sezioni Unite, hanno rilevato che i testi normativi prodotti in materia dall’Unione Europea possono essere suddivisi nelle due seguenti categorie: testi che si occupano della protezione della vittima in generale ( v. Direttiva 2012/29/UE, che detta norme minime in materia di diritti, assistenza, informazione, traduzione e protezione nei confronti di tutte le vittime di reato); testi che riguardano la tutela delle vittime di specifici reati particolarmente lesivi dell’integrità fisica e morale delle persone, che colpiscono di frequente vittime vulnerabili (v. Convenzione di Lanzarote, del Consiglio d’Europa del 25 ottobre 2007, sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali, e Convenzione di Instanbul, del Consiglio d’Europa dell’11 maggio 2001, sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Ambedue le Convenzioni, sono fondate sull’esigenza di garantire partecipazione, assistenza, informazione e protezione a particolari categorie di vittime).

Con precipuo riferimento alla Direttiva 2012/29/UE, è stato rilevato che la stessa costituisce uno strumento di unificazione legislativa valido per tutte le vittime di reato e che in Italia le è stata data recente attuazione con il d. lgs. 15 dicembre 2015, n. 212. Tale Direttiva, in particolare, fornisce la nozione della c.d. violenza di genere, definendola come “la violenza diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere o della sua espressione di genere o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere. Può provocare un danno fisico, sessuale o psicologico, o una perdita economica alla vittima.

La violenza di genere è considerata una forma di discriminazione e una violazione delle libertà fondamentali della vittima e comprende la violenza nelle relazioni strette, la violenza sessuale (compresi lo stupro, l’aggressione sessuale e le molestie sessuali), la tratta di essere umani, la schiavitù e varie forme dannose, quali i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i c.d. reati d’onore.

Per quanto concerne, poi, la Convenzione di Istanbul, questa, all’art. 3, descrive tre diverse tipologie di violenza: la violenza nei confronti delle donne, la violenza domestica e la violenza di genere, accomunate tutte dalla completa parificazione tra violenza fisica e psicologica all’interno di un più generale concetto di violenza, da cui discende una nozione di vittima riferita a qualsiasi persona fisica che subisca tali forme di violenza.

Bisogna, inoltre, sottolineare che: gli artt. 33 e 34 di questa Convenzione, prevedono la necessaria penalizzazione, da parte degli stati firmatari, delle condotte di violenza e di atti persecutori (stalking); e che l’art. 56, lett b) e c), prevede, in favore della vittima, alcuni diritti partecipativi nel processo penale, quali il diritto all’informazione circa l’esito della denuncia e l’andamento delle indagini e l’eventuale evasione o rimessione in libertà dell’autore del reato. Tale ultima previsione si fonda sul presupposto che l’accesso a questo tipo di informazioni costituisce una condizione fondamentale per una concreta ed effettiva protezione della vittima.

Le Sezioni Unite, proseguendo nel loro iter argomentativo, hanno rilevato, altresì, che, sebbene le definizioni di violenza sopra richiamate non compaiano espressamente nei testi normativi di produzione interna, tuttavia le stesse, per il tramite del diritto internazionale, sono entrate a far parte del nostro ordinamento ed influiscono sull’applicazione del diritto.

Infatti, a fronte dell’emersione del fenomeno della violenza, in ambito familiare e domestico, ed in presenza di una pluralità di atti internazionali di cui tenere conto, il legislatore interno ha provveduto, con interventi settoriali, a modificare in larga parte la normativa sostanziale e processuale (spesso adottando anche lo strumento del decreto legge e reintervenendo su tali istituti con successivi adattamenti).

Per tale ragione, non può non tenersi in considerazione questo frastagliato e complesso quadro di riferimento normativo, al fine di risolvere la questione in oggetto, che deve essere inquadrata nell’ambito delle fonti normative interne ed internazionali. Tanto più, che le norme convenzionali, recepite attraverso la legge di ratifica, sono sottoposte, anche alla luce dell’art. 117 della Costituzione, ad un obbligo di interpretazione conforme, che impone, qualora la norma interna si presti a diverse interpretazioni o presenti dei margini di incertezza, di scegliere quella che consenta il rispetto degli obblighi internazionali.

Le Sezioni Unite, infine, hanno rilevato che dalla lettura delle menzionate fonti normative sovranazionali, emerge chiaramente come l’espressione “violenza alla persona”, venga sempre intesa in senso ampio, comprensivo sia delle aggressioni fisiche sia di quelle morali e psicologiche e come lo stalking rientri tra le significative ipotesi di violenza di genere che richiedono particolari forme di protezione in favore delle vittime. Sulla scorta di tale ragionamento, quindi, hanno dato risposta positiva al quesito loro sottoposto nell’ordinanza di rimessione, statuendo che la disposizione di cui all’art. 408, comma 3 bis, c.p.p. – che stabilisce l’obbligo di dare avviso alla persona offesa della richiesta di archiviazione con riferimento ai delitti commessi con “violenza alla persona” – è riferibile anche ai reati di atti persecutori e maltrattamenti.

Ciò, in quanto:
a) la prescrizione, di cui all’art. 408, comma 3 bis, c.p.p., prevede un obbligo informativo, che è stato introdotto al fine di ampliare i diritti di partecipazione della vittima al procedimento penale e di rafforzare la posizione di una determinata categoria di persone offese. Come risulta, del resto, dalla ratio dell’intervento normativo in cui è contenuta tale disposizione e dall’ampliamento del termine concesso alla persona offesa per prendere visione degli atti e presentare opposizione, raddoppiato rispetto a quello ordinario di 10 giorni;
b) il testo normativo de qua si prefigge lo scopo di offrire specifica protezione alle vittime della violenza di genere, specialmente nel caso in cui la stessa si estrinsechi nei confronti delle donne o nell’ambito della violenza domestica;
c) il reato di atti persecutori (così come quello di maltrattamenti in famiglia), indipendentemente dalla sua riconducibilità a forme di violenza fisica, rappresenta una delle fattispecie cui il nostro ordinamento ha affidato il compito di reprimere tali forme di criminalità e di proteggere la persona che le subisce;
d) la storia dell’emendamento dell’art. 408, comma 3 bis, c.p.p., con cui è stata introdotta la nozione di “violenza alla persona” è indicativa della volontà del legislatore di ampliare il campo della tutela oltre le singole fattispecie criminose originariamente indicate nel decreto legge;
e) infine, la nozione di violenza adottata in ambito comunitario è più ampia di quella disciplinata dal nostro codice penale ed è sicuramente comprensiva di ogni forma di violenza di genere, contro le donne e nell’ambito delle relazioni affettive, tale da cagionare una sofferenza anche solo psicologica nei confronti della vittima del reato, indipendentemente dalle modalità, fisica o morale, della violenza attuata.

In conclusione, nel percorso interpretativo tracciato dalle Sezioni Unite, l’obbligo di avviso della richiesta di archiviazione alla persona offesa, che non ne abbia fatto espressa richiesta, appare strettamente collegato alla violenza di genere. Ciò induce a chiedersi se tale obbligo informativo sia stabilito per tutte le tipologie di reato rientranti nel novero dei reati di genere o soltanto per le tipologie di reato espressamente indicate nella pronuncia delle Sezioni Unite e se da tale incertezza deriveranno ulteriori contrasti giurisprudenziali.


I riferimenti normativi:

Articolo 408 Codice di Procedura Penale
Richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato
Fonti → Codice di Procedura Penale → LIBRO QUINTO – Indagini preliminari e udienza preliminare → Titolo VIII – Chiusura delle indagini preliminari (artt. 405-415 bis)

1. Entro i termini previsti dagli articoli precedenti, il pubblico ministero, se la notizia di reato è infondata, presenta al giudice richiesta di archiviazione. Con la richiesta è trasmesso il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari.
2. L’avviso della richiesta è notificato, a cura del pubblico ministero, alla persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di volere essere informata circa l’eventuale archiviazione.
3. Nell’avviso è precisato che, nel termine di dieci giorni, la persona offesa può prendere visione degli atti e presentare opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari.
3-bis. Per i delitti commessi con violenza alla persona, l’avviso della richiesta di archiviazione è in ogni caso notificato, a cura del pubblico ministero, alla persona offesa ed il termine di cui al comma 3 è elevato a venti giorni.
Articolo 612 bis Codice Penale. Atti persecutori
Fonti → Codice Penale → LIBRO SECONDO – Dei delitti in particolare → Titolo XII – Dei delitti contro la persona (artt. 575-623 bis) → Capo III – Dei delitti contro la libertà individuale → Sezione III – Dei delitti contro la libertà morale

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

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