Il ritardo della pubblica amministrazione

Il ritardo della pubblica amministrazione e la responsabilità contabile e penale dei pubblici funzionari.

Riteniamo opportuno condividere, oggi, una preziosa riflessione del Presidente Onorario della Corte dei Conti (Vetro Antonio) sul danno da ritardo della pubblica amministrazione.

Sussiste una stretta correlazione tra l’inefficienza della pubblica amministrazione e la sussistenza di illeciti penali e contabili commessi da pubblici funzionari.

Infatti, più lungo è il ritardo nell’azione di amministrativa, e maggiore è il ricorso a condotte di favoritismo e clientelismo; e questo avviene perché ciò che dovrebbe essere un diritto, viene, invece, percepito quale favore.

Ancora una volta, è il caso di ribadire che la trasparenza e la celerità dei provvedimenti amministrativi è la migliore garanzia per garantire il buon andamento della P.A. e la cura degli interessi legittimi e diritti soggettivi dei cittadini.

 

<< Il danno derivante dal ritardo della pubblica amministrazione in materia di procedimento amministrativo e connesse responsabilità amministrativo-contabili dei pubblici funzionari.
1) Cenni sulla legislazione vigente in materia, limitatamente alle norme più significative.

Ai sensi dell’art. 2 “conclusione del procedimento” della legge 7 agosto 1990 n. 241, in generale, (comma 2) “i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni”, fatti salvi i casi in cui (comma 3) con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, vengano “individuati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali; gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza” e con l’eccezione di casi particolari (comma 4) nei quali, “tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento, sono indispensabili termini superiori a novanta giorni”, termini che “non possono comunque superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l’immigrazione”.
Inoltre, (comma 8) “la tutela in materia di silenzio dell’amministrazione è disciplinata dal codice del processo amministrativo, di cui al d.lgs. n. 104/2010” e “le sentenze passate in giudicato che accolgono il ricorso proposto avverso il silenzio inadempimento dell’amministrazione sono trasmesse, in via telematica, alla Corte dei conti”; (comma 9) “la mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance (sic: tradotto in corretto italiano: prestazione) individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente”.

Secondo l’art. 2 bis della stessa legge n. 241/1990, introdotto dall’art. 7 della legge n. 69/2009, (comma 1) “le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’art.1, comma 1-ter (soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative), sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento e (comma 2) “le controversie relative all’applicazione del presente articolo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo” e, infine, “il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni”.

2)La giurisprudenza della Cassazione a Sezioni unite. Per brevità, vengono richiamate solo due decisioni di rilievo.

— Sentenza n. 8593/1998.
La domanda con la quale il privato, titolare della concessione per la progettazione e realizzazione di opere di edilizia residenziale pubblica, chieda la risoluzione della relativa convenzione e il risarcimento dei danni nei confronti della p.a. per il ritardo nel rilascio della concessione edilizia necessaria per la esecuzione delle opere oggetto della convenzione introduce un giudizio per il quale “deve trovare applicazione la norma speciale costituita dall’art. 11, quinto comma, l. 7 agosto 1990 n. 241 (sul procedimento amministrativo), il quale riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi in base ai quali venga individuato il contenuto di un provvedimento che la p.a. deve emettere a conclusione di un procedimento preordinato all’esercizio di una pubblica funzione amministrativa”.

— Ordinanza n. 13659/2006.
“Riconducibili alla giurisdizione del giudice amministrativo appaiono i casi in cui la lesione di una situazione soggettiva dell’interessato è postulata come conseguenza d’un comportamento inerte, si tratti di ritardo nell’emissione di un provvedimento risultato favorevole o di silenzio. Ciò che viene qui in rilievo è bensì un comportamento, ma il comportamento si risolve nella violazione di una norma che regola il procedimento ordinato all’esercizio del potere e perciò nella lesione di una situazione di interesse legittimo pretensivo (Ad. pl. 15 settembre 2005, n. 7) non di un diritto soggettivo”. … “I principi di diritto enunciati da queste Sezioni Unite sono i seguenti: 1) la giurisdizione del giudice amministrativo sussiste in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano; 2) spetta al giudice amministrativo disporre le diverse forme di tutela che l’ordinamento appresta per le situazioni soggettive sacrificate dall’esercizio illegittimo del potere e tra queste forme di tutela rientra il risarcimento del danno; 3) Il giudice amministrativo rifiuta di esercitare la giurisdizione e la sua decisione, a norma dell’art. 362 c.p.c., comma 1, si presta a cassazione da parte delle Sezioni unite quale giudice del riparto della giurisdizione, se l’esame del merito della domanda autonoma di risarcimento del danno è rifiutato per la ragione che nel termine per ciò stabilito non sono stati chiesti l’annullamento dell’atto e la conseguente rimozione dei suoi effetti”.

3)La giurisprudenza del Consiglio di Stato.

Vastissima è la produzione giurisprudenziale in materia che, per necessità di sintesi, verrà illustrata solo parzialmente, attraverso l’esame di alcune significative sentenze delle diverse Sezioni negli ultimi anni.

— Sent. Sez. IV n. 1699/2010.
Il solo ritardo nell’emanazione di un atto viene riconosciuto elemento sufficiente per configurare un danno ingiusto, con conseguente obbligo di risarcimento, nel caso di procedimento amministrativo lesivo di un interesse pretensivo dell’amministrato, ove tale procedimento sia da concludere con un provvedimento favorevole per il destinatario, come appunto si è verificato nel caso di specie (Ad. Plen., n. 7/2005; Cass. n. 2529/2009); appare, inoltre, chiaramente comprovata la colpa dell’autorità amministrativa, la quale, non tenendo dovuto conto delle statuizioni giudiziali in proposito, non si è attenuta a rigorosi canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ed ha aggravato anzi, con palese negligenza, il danno ad essa addebitabile, avendo omesso di dare tempestiva esecuzione al giudicato.

— Sent. Sez. V n. 1271/2011 e n. 1739/2011.
Nel caso di specie, ricorre l’ipotesi in cui il privato invoca la tutela risarcitoria per i danni conseguenti al ritardo con cui l’amministrazione ha adottato un provvedimento a lui favorevole, ma emanato appunto con ritardo rispetto al termine previsto per quel determinato procedimento. Il ritardo procedimentale ha, quindi, determinato un ritardo nell’attribuzione del c.d. “bene della vita”, costituito nel caso di specie dalla possibilità di edificare secondo il progetto richiesto in variante. In questi casi la giurisprudenza è pacifica nell’ammettere il risarcimento del danno da ritardo (a condizione ovviamente che tale danno sussista e venga provato) e l’intervenuto art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. La norma presuppone che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica (Cons. giust. amm. reg. sic. n. 1368/2010, che, traendo argomenti dal citato art. 2-bis, ha aggiunto che il danno sussisterebbe anche se il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora concluso e finanche se l’esito fosse stato in ipotesi negativo). Nel caso di specie, non rileva la questione della risarcibilità del danno da ritardo in caso di non spettanza del c.d. “bene della vita” e della compatibilità dei principi affermati dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 7/2005 con il nuovo art. 2-bis della legge n. 241/90, avendo la stessa amministrazione riconosciuto tale spettanza con il (tardivo) rilascio del permesso di costruire in variante. Si deve, quindi, passare a verificare gli elementi probatori in ordine all’esistenza del danno ed al rapporto di causalità con il menzionato ritardo. Per ogni ipotesi di responsabilità della p.a. per i danni causati per l’illegittimo esercizio (o, come nel caso di specie, mancato esercizio) dell’attività amministrativa, spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti; se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, è comunque ineludibile l’obbligo di allegare circostanze di fatto precise e quando il soggetto onerato della allegazione e della prova dei fatti non vi adempie non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del pregiudizio subito, né può essere invocata una consulenza tecnica d’ufficio, diretta a supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del privato (Cons. Stato, Sez. V, n. 2967/2008; Sez. VI, n. 1261/2004, secondo cui la consulenza tecnica, pur disposta d’ufficio, non è certo destinata ad esonerare la parte dalla prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste, fatti che devono essere dimostrati dalla medesima parte alla stregua dei criteri di ripartizione dell’onere della prova posti dall’art. 2697 c.c., ma ha la funzione di fornire all’attività valutativa del giudice l’apporto di cognizioni tecniche non possedute). La stessa richiamata giurisprudenza ha anche precisato che l’onere probatorio può ritenersi assolto allorché il ricorrente indichi, a fronte di un danno certo nella sua verificazione, taluni criteri di quantificazione dello stesso, salvo il potere del giudice di vagliarne la condivisibilità attraverso l’apporto tecnico del consulente o, comunque, quando il ricorrente fornisca un principio di prova della sussistenza e quantificazione del danno.

— Sent. Sez. IV n. 2675/2011.
La richiesta di accertamento del danno da ritardo – ovvero del danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimento legittimo e favorevole, dopo l’annullamento di un precedente atto illegittimo sfavorevole -, in ossequio al principio dell’atipicità dell’illecito civile, costituisce una fattispecie sui generis, di natura del tutto specifica e peculiare, che deve essere ricondotta all’art. 2043 c.c. per l’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità. Consegue che l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo nell’adozione del provvedimento amministrativo favorevole, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda.

— Sent. Sez. V n. 5556/2012.
Con l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 3/2011, è stato puntualizzato che dagli artt. 30 e ss. c.p.a emerge che il legislatore delegato non ha condiviso né la tesi della pregiudizialità amministrativa, né peraltro, al contrario, quella della totale autonomia dei due rimedi, impugnatorio e risarcitorio, bensì ha optato per una soluzione intermedia, che valuta l’omessa tempestiva proposizione del ricorso per l’annullamento del provvedimento lesivo non come fatto preclusivo dell’istanza risarcitoria, ma solo come condotta che, nell’ambito di una valutazione complessiva del comportamento delle parti in causa, può autorizzare il giudice ad escludere il risarcimento, o a ridurne l’importo, ove accerti che la tempestiva proposizione del ricorso per l’annullamento dell’atto lesivo avrebbe evitato o limitato i danni da quest’ultimo derivanti. Con riguardo al problema della pregiudiziale, che ovviamente si pone unicamente in ipotesi di danno derivante dal provvedimento illegittimo, deve, quindi, ritenersi ormai ammessa la domanda di risarcimento del danno, conformemente ai principi espressi dall’Adunanza Plenaria, anche in via autonoma rispetto all’impugnazione del provvedimento (reputato) illegittimamente lesivo.

— Sent. Sez. IV n. 1406/2013
Il risarcimento del danno ingiusto cagionato dalla pubblica amministrazione in conseguenzadell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento presuppone che iltempo è un bene della vita per il cittadino e il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento ha sempre un costo (Cons. Stato Sez. V, n. 1271/2011). La richiesta di accertamentodel danno da ritardo ovvero del danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimentofavorevole, se da un lato deve essere ricondotta al danno da lesione di interessi legittimi pretensivi, per l’ontologica natura delle posizioni fatte valere, dall’altro, in ossequio al principio dell’atipicitàdell’illecito civile, costituisce una fattispecie sui generis, di natura del tutto specifica e peculiare, chedeve essere ricondotta nell’alveo dell’art. 2043 c.c. per l’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità. Di conseguenza, l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, inlinea di principio, presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo nell’adozione del provvedimento amministrativo favorevole, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda (Cons. St., sez. IV, n. 2675/2011,Sez. V, n. 1739/2011). In particolare, occorre verificare la sussistenza sia dei presupposti dicarattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale),sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante): in sostanza, il mero “superamento” del termine fissato ex lege o per via regolamentare alla conclusione del procedimento costituisce indice oggettivo, ma non integra “piena prova del danno” . La valutazioneè di natura relativistica, deve tenere conto della specifica complessità procedimentale, ma anche di eventuali condotte dilatorie: si è detto pertanto che “il ritardo della P.A. non può essere giustificato con esigenze di sentire e risentire gli addetti ai lavori. La mancata organizzazione dell’ufficio e ilritardo nelle risposte alle legittime esigenze del privato comporta una responsabilità del Comuneche ritarda il rilascio del permesso di costruire in variante con il risarcimento a favore del privatonon solo del danno patrimoniale, ma anche di quello non patrimoniale.” (Cons. Stato Sez. V, n. 1271/2011).

— Sent. Sez.VI n. 4344/2013.
“Devono ritenersi integrati sia l’elemento dell’antigiuridicità del ritardo connotante l’azioneamministrativa, posta in essere non iure, in violazione delle prescritte cadenze procedimentali, oltre che contra ius, ledendo l’interesse pretensivo dell’odierna appellante ad ottenere il provvedimentofavorevole nel rispetto dei termini di legge, sia l’elemento soggettivo della colpevolezza, atteso ilmanifesto carattere dilatorio delle condotte tenute dalle amministrazioni coinvolte, insito nellaripetuta adozione di atti soprassessori, privi di oggettive ragioni giustificative ed accompagnati daun comportamento d’inerzia giuridicamente rilevante, sebbene il provvedimento favorevole avesse potuto e dovuto essere rilasciato ab origine. La parte interessata ha, altresì, fornito la prova dellasussistenza di danni patrimoniali, sub specie di danno emergente e lucro cessante, collegati da unnesso di derivazione causale immediato e diretto alla ritardata emanazione del provvedimento autorizzatorio”.

— Sent. Sez. V n. 3133/2013.
Devono applicarsi i principi giurisprudenziali indicati nella sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 500/1999 la quale ha affermato che l’imputazione della responsabilità alla p.a., riferibile agli elementi costituitivi della responsabilità ex art. 2043 c.c., non può avvenire sulla basedel mero dato obiettivo dell’illegittimità dell’azione amministrativa, poiché il giudice deve svolgereuna più penetrante indagine, estesa anche alla valutazione della colpa, non del funzionario agente (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia), ma della P.A. intesa come apparato che sarà configurabile nel caso in cui l’adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo sia avvenuta in violazionedelle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio dellafunzione amministrativa deve ispirarsi. E’ pur vero che, in materia di appalti pubblici, lagiurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia UE 30 settembre 2010, C-314-09) ha affermato che la normativa dell’UE osta alle norme nazionali che subordinano il riconoscimento del diritto alrisarcimento del danno compiuto da una p.a. al carattere colpevole della violazione commessa. Matale indirizzo interpretativo è strettamente connesso alle violazioni, commesse dalla p.a., in materiadi procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, procedure che, in relazione alla controversia in oggetto, non vengono direttamente in rilievo. L’elemento soggettivo della fattispecie aquilianadeve configurarsi come colpa dell’apparato, non ricollegabile agli addebiti a carico del singoloagente, ma all’intero comportamento dell’amm.ne, caratterizzato dall’esercizio scorretto dellafunzione, sindacabile secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit. Il giudice amministrativo può affermare la responsabilità dell’amministrazione per danni conseguenti a un atto illegittimo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadrodi riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organonell’assunzione del provvedimento viziato e negarla quando l’indagine presupposta conduca al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza delquadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto.

— Sent. Sez. V n. 4968/2013
La regola della non risarcibilità dei danni evitabili, usando l’ordinaria diligenza, conl’impugnazione del provvedimento e con la corretta utilizzazione degli ulteriori strumenti di tutelaprevisti dall’ordinamento, ai sensi dell’art. 30, comma 3, c.p.a., è ricognitiva dei principi già contenuti nell’art. 1227, comma 2, c.c. L’omessa utilizzazione degli strumenti di tutela costituisce,nella valutazione complessiva del comportamento delle parti, sulla base dei canoni della buona fedee della solidarietà, ai fini dell’esclusione o della riduzione del danno, è da intendere non più comepreclusione di rito, ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla esistenzaed ammontare del pregiudizio risarcibile.

4) I principi che regolano la materia, alla luce della normativa vigente e della citata giurisprudenza.

a) Nel caso di lesione di una situazione giuridica soggettiva del destinatario di un provvedimento, per la colpevole inerzia della p.a. che si traduca nel ritardo nell’emissione dell’atto risultato favorevole o nel silenzio, il comportamento dell’amm.ne si risolve nella violazione di una norma sul corretto esercizio del potere e perciò nella lesione di una situazione di interesse legittimo pretensivo, riconducibile alla giurisdizione del giudice amministrativo.

b) Contrasta con i canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione il ritardoingiustificato nell’emanazione di un atto, specie quando ciò avvenga in violazione delle statuizioni giudiziali emesse sulla vicenda.

c) Al ritardo procedimentale consegue un ritardo nell’attribuzione del c.d. “bene della vita”. Ancheil tempo è un bene della vita ed il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento comportasempre un costo, costituendo il fattore tempo una essenziale componente variabile nella progettazione di qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica, anche in caso di esito negativo.

d) Il mero superamento del termine fissato per la conclusione del procedimento costituisce indiceoggettivo, ma non integra piena prova del danno. Quindi, l’accertamento del danno da ritardo non può presumersi iuris tantum, costituendo invece una fattispecie sui generis, da ricondurre nell’ambito dell’art. 2043 c.c., per l’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilitàche, ai sensi dell’art. 2697 c.c., debbono essere provati dal presunto danneggiato. Spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza e dell’ingiustizia del danno, allegando precise circostanze di fatto, pur ammettendosi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. e la valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., nella sola ipotesi di impossibilità di provare l’ammontare preciso del pregiudizio subito, fatta salva la possibilità di consulenza tecnica, non per supplire all’onere della prova che rimane integralmente a carico della parte secondo l’art. 2697 c.c., ma per fornire al giudice le cognizioni tecniche necessarie per un’adeguata attività valutativa.

e) Dagli artt. 30 e ss. c.p.a si desume che il legislatore delegato non ha condiviso né la tesi dellapregiudizialità amministrativa, né quella della totale autonomia dei due rimedi, di impugnazione e di risarcimento, bensì una soluzione intermedia, che valuta l’omessa impugnazione del provvedimento lesivo non come fatto preclusivo dell’istanza risarcitoria, ma solo come condottache, nell’ambito di una valutazione complessiva del comportamento delle parti, può portare alla riduzione o alla esclusione del risarcimento, qualora si accerti che la tempestiva proposizione del ricorso per l’annullamento dell’atto lesivo avrebbe limitato o addirittura evitato il danno. La regola della non risarcibilità dei danni evitabili, usando l’ordinaria diligenza, con l’impugnazione del provvedimento, è ricognitiva dei principi già contenuti nell’art. 1227, comma 2, c.c.

f) Il giudice deve svolgere una penetrante indagine, estesa anche alla valutazione della colpa, non delfunzionario agente ma della p.a. intesa come apparato, che sarà configurabile nel caso in cui l’adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità,di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deveispirarsi. Il giudice amministrativo può affermare la responsabilità dell’amministrazione per danni conseguenti a un atto illegittimo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto dicircostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato e negarla quando l’indagineconduca al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, perl’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto.

g)Il danno risarcibile può conseguire sia al ritardo nell’emanazione dell’atto, sia al silenzio, nel casodi perdurante inerzia. In quest’ultimo caso, è però necessario che la domanda non esaminatariguardi ipotesi nelle quali “il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovverodebba essere iniziato d’ufficio”, ai sensi dell’art. 2l della legge n. 241/1990. A fronte della legittima aspettativa del privato ad una esplicita pronunzia, l’amm.ne è infatti tenuta a provvedere, in osservanza ai principi di correttezza e buona amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione.

h)I termini fissati dal legislatore per la conclusione del procedimento hanno natura meramente acceleratoria, non essendo prevista alcuna prescrizione di perentorietà.

5)La responsabilità amministrativo-contabile dei pubblici funzionari conseguente al risarcimentodel danno derivante dal ritardo nel procedimento amministrativo o dalla perdurante inerzia(silenzio).
Numerose decisioni del giudice amministrativo in materia di ritardo o di silenzio dell’amm.ne si sono concluse con la condanna della p.a. al risarcimento di danni, spesso di notevole ammontare.Ad esempio, fra le tante decisioni di condanna dei Tribunali amministrativi regionali (che non sono state affatto ricordate, per motivi di brevità), può essere citata, una fra le tante, la sentenza n.2704/2008 del T.A.R. del Lazio, che ha condannato l’amministrazione al risarcimento del danno daritardo ad una somma pari ad euro 179.700,00.
In tale situazione, altamente pregiudizievole per le pubbliche finanze, si impone un particolare rigore nella valutazione della condotta dei pubblici funzionari, in sede di giudizi di responsabilità di competenza della Corte dei conti.
Non è infatti tollerabile, a fronte di precisi termini legislativi dettati per la conclusione deiprocedimenti amministrativi, una condotta lassista, in violazione dei fondamentali principi costituzionali di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione, con elusione della legittima aspettativa del privato ad una esplicita pronunzia nei tempi previsti, in armonia con iprincipi contenuti nell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali, richiamata dal Trattato di Lisbona, secondo cui “Ogni persona ha diritto a che le questioni che la riguardano siano trattate in modoimparziale ed equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni, organi e organismidell’Unione”.

Va inoltre sottolineato che l’inerzia prolungata, nelle fattispecie penalmente rilevanti, si è rivelata come uno dei veicoli determinanti per convincere i soggetti interessati al rilascio di provvedimentiamministrativi a versare tangenti ai funzionari corrotti.
Nell’articolo dello scrivente del 29 dicembre 2011 (“Responsabilità degli Stati per violazione del diritto comunitario, secondo la sentenza 24 novembre 2011 della Corte di giustizia: riflessi sullaresponsabilità dei pubblici funzionari”) è stato ricordato che la Corte di giustizia, nella sentenza 24.11.2011 n. C-379/10, ha individuato la “colpa grave” nella “violazione manifesta del dirittovigente”. Inoltre, nella sentenza 5.3.96 n. C-46/93 la stessa Corte aveva già chiarito che, fra lecondizioni richieste per il diritto al risarcimento, va annoverata la violazione di norme comunitarie“sufficientemente qualificata” la quale “implica una violazione grave e manifesta” e che “alriguardo, fra gli elementi da prendere in considerazione, vanno sottolineati il grado di chiarezza e di precisione della norma violata … In ogni caso, una violazione del diritto dell’Unione èsufficientemente qualificata allorché essa è intervenuta ignorando manifestamente la giurisprudenzadella Corte in questa materia”. Nell’articolo si è rilevato che tali principi potrebbero ricevere puntuale applicazione nella giurisprudenza contabile. Infatti, una volta accertata la “violazione manifesta del diritto vigente”, produttrice di danno erariale, non dovrebbero avere spazio sofismi di sorta volti ad escludere la responsabilità dei soggetti cui è imputabile tale violazione, specie quandoè ravvisabile un elevato “grado di chiarezza e di precisione della norma violata”. Parimenti, la colpa grave andrebbe senz’altro ravvisata qualora il soggetto si sia determinato ad una condottapregiudizievole “ignorando manifestamente la giurisprudenza in materia”. E’ stato anche ricordato l’insegnamento della Cassazione nella sentenza n. 4587/2009, riguardante pubblici dipendenti, secondo cui “la limitazione della responsabilità … alle ipotesi di (dolo o) colpa grave non significache l’ordinamento tolleri un comportamento lassista … giacché si ha colpa grave anche quando l’agente, pur essendone obbligato iure, non faccia uso della diligenza, della perizia e della prudenza professionali esigibili in relazione al tipo di servizio pubblico o ufficio rivestito”. Si è quindi concluso nel senso che, alla luce dei principi affermati nelle citate sentenze della Corte di giustizia edella Cassazione, andrebbe rimeditato l’indirizzo giurisprudenziale della Corte dei conti cherichiede, per l’individuazione della colpa grave “macroscopiche inosservanze dei doveri di ufficio”, tenuto anche conto che l’ordinamento ha già previsto opportuni correttivi per un’equa determinazione del risarcimento, limitato alla parte imputabile al singolo, nel caso di concorso dipiù soggetti nella causazione del danno o in presenza di circostanze, quali i disservizi esistentinell’Amministrazione, valutabili come concause dell’evento lesivo. Inoltre, agli stessi fini equitativi, il giudice contabile, a differenza del giudice civile, è dotato anche del potere riduttivo, inpresenza di particolari circostanze che consentano la riduzione dell’addebito, anche in misurarilevante.

Tali riflessioni possono senz’altro essere richiamate per valutare le responsabilità dei pubblicifunzionari che per inerzia, o assumendo provvedimenti meramente dilatori, non rispettino i terminiprevisti per la conclusione dei procedimenti, pur non potendo ignorare, alla luce di precise norme dicontenuto categorico e di una copiosa giurisprudenza del giudice amministrativo, le conseguenze fortemente negative per il pubblico erario derivanti dalla illecita condotta.
Peraltro va posta in rilievo la circostanza che, malgrado la quantità di condanne risarcitorie emessedai T.A.R. e dal Consiglio di Stato a carico della p.a. per ingiustificati ritardi, connotati da colpa grave dell’apparato amministrativo, risulterebbe assai scarso il numero delle sentenze della Corte dei conti, a seguito di citazione in giudizio da parte delle competenti Procure, riguardanti i funzionari cui sono addebitabili tali ritardi.

Ciò potrebbe dipendere da carenze nelle obbligatorie segnalazioni di danno erariale, che peraltropotrebbero essere supplite dall’autonomo esame delle sentenze di condanna dei giudici amministrativi, reperibili nelle banche dati, da parte delle Procure regionali.
Oltre tutto, gli organi requirenti, pur senza essere vincolati dalle valutazioni del g.a., potrebbero pacificamente trarre dal contenuto delle sentenze utili elementi relativi ai presupposti, soggettivi ed oggettivi, per l’individuazione della responsabilità amministrativo-contabile a carico dei funzionari, in quanto, come già osservato, il giudice amministrativo, nella sua sfera di competenza, esprime sempre il proprio giudizio sul comportamento dell’amm.ne-apparato, accertando quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro diriferimento normativo tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo amm.vo.
E’ appena il caso di precisare che un’inchiesta della Procura regionale iniziata sulla base dell’esamedi una sentenza del g.a. reperita nelle banche dati risponderebbe, senza ombra di dubbio, alla previsione “di una specifica e concreta notizia di danno”, sancita dall’art. 17, comma 30 ter, del d.l. n. 78/2009, convertito in legge n. 102/2009, in conformità ai principi indicati dalla Corte costituzionale, secondo cui la discrezionalità diretta ad un interesse giurisdizionale deve esseredeterminata da elementi specifici e concreti e non da mere supposizioni (sent. n. 104/1989,209/1994 e 335/2005).

Non bisogna però dimenticare che all’iniziativa dell’autonomo esame delle sentenze di condanna dei giudici amministrativi da parte delle Procure potrebbe ostare l’attuale situazione aberrante di carenza di uomini e mezzi, in tutti gli uffici della Corte, ma in particolar modo nelle Procureregionali, più volte sottolineata dallo scrivente nei precedenti articoli, nell’ottica di una miope e controproducente politica di “risparmio”, attuata attraverso la mancata copertura dei ruoli organicidi funzionari e magistrati della Corte dei conti, quest’ultimi ridotti ad operare con una carenza addirittura pari ad un terzo dell’organico di diritto, situazione di estrema gravità non ravvisabile in nessuna delle altre magistrature in tali proporzioni.

Tanto precisato, merita menzione la sentenza in materia, reperita dopo lunga ricerca, della Sezione giurisdizionale per il Lazio n. 1809/2009, da condividere pienamente, la quale ha statuito quanto
segue:
“La grave e ripetuta violazione dei termini procedimentali, il mancato sollecito del subprocedimento nei confronti degli organi competenti, il mancato rispetto del termine essenziale costituito dalla perentoria scadenza per la conclusione del procedimento fissata dal giudice amministrativo, connotano la colpa (del … convenuto) di tali elementi di gravità da renderlo imputabile del danno a lui contestato. Sotto il profilo causale, il danno è esclusivamente riconducibile (al … convenuto) ed al suo comportamento ingiustificatamente inerte; né ad azionisuccessive alla sua cessazione dall’incarico, come il pagamento del risarcimento – che costituisce atto dovuto avente le sue premesse in fatti antecedenti a lui imputabili – né agli organi coinvolti nel procedimento per l’emissione della concessione, ai quali le richieste di parere risultano inoltrate congrave ritardo rispetto all’inizio del procedimento o sono state tardivamente sollecitate. In particolare, risulta chiaramente dalla sentenza del TAR agli atti che la quantificazione del danno è direttamente correlato alla entità del ritardo endoprocedimentale, imputabile esclusivamente (al … convenuto). Per tutti i suesposti motivi, e non riscontrando il Collegio elementi per esercitare il potere di riduzione dell’addebito, egli va condannato a risarcire il danno di cui in citazione, oltre la rivalutazione e gli interessi nei modi di legge, nonché le spese di giudizio”>>.

Roma 20 novembre 2013

tratto da contabilità pubblica – il ritardo della pubblica amministrazione

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