Incapacità naturale e annullamento del contratto

Incapacità naturale e annullamento del contratto.

Termini e condizioni di applicazione dell’art.428 c.c. La differente ipotesi della circonvenzione di incapace di cui all’art. 643 c.p.

L’incapacità naturale è una condizione della persona, non giudizialmente dichiarata, che non è in grado di intendere o di volere per una qualsiasi causa permanente o transitoria, sufficiente a tradursi in un difetto della volontà negoziale che rende annullabile l’atto.

In forza dell’art. 428 c.c., gli atti giuridici compiuti da persona che, sebbene non interdetta, è stata, per qualsiasi causa, incapace d’intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti, possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio all’autore.

Per ottenere l’annullamento dei contratti è, altresì, necessario dimostrare la mala fede dell’altro contraente.

Inoltre, l’azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui l’atto o il contratto è stato compiuto.

Ratio della norma in esame è, pertanto, quella di salvaguardare l’autodeterminazione del soggetto agente in relazione a un singolo atto compiuto, per cui la valutazione giudiziale deve essere inevitabilmente circoscritta nel tempo e nell’oggetto il quale deve, necessariamente, essere coincidente con l’incapacità di intendere o di volere.

Una recente sentenza del Tribunale di Pisa ha il pregio di fare un punto esaustivo e completo sul richiamato art. 428 c.c.

In particolare, i giudici di merito hanno precisato che, ai fini dell’annullamento del contratto posto in essere da persona incapace, è necessario dimostrare l’accertamento dell’incapacità naturale di uno dei contraenti.
Si tratta, in particolare, di una condizione espressamente qualificata d’incapacità di intendere e di volere ovvero di uno stato patologico psichico che impedisce all’agente di cogliere, sia sul piano intellettivo che cognitivo, la natura e gli effetti dell’atto che si compie né di prestare, consapevolmente e liberamente, il proprio contributo nella determinazione del regolamento d’interessi contenuto nell’atto oggetto di impugnativa”.

A riguardo la Corte di Cassazione, sez. I civ., con la recente sentenza n.10329/2016 ha avuto modo di precisare che in tema di invalidità negoziali, il giudicato formatosi sull’insussistenza dell’incapacità naturale richiesta per l’annullamento contrattuale ex art. 428 c.c. è inopponibile nel giudizio volto a far dichiarare la nullità del medesimo contratto per circonvenzione di incapace. Infatti, mentre l’art. 428 c.c. richiede l’accertamento di una condizione espressamente qualificata di incapacità di intendere e di volere, ai fini dell’art. 643 c.p. è, invece, sufficiente che l’autore dell’atto versi in una situazione soggettiva di fragilità psichica derivante dall’età, dall’insorgenza o dall’aggravamento di una patologia neurologica o psichiatrica, anche connessa a tali fattori o dovuta ad anomale dinamiche relazionali che consenta all’altrui opera di suggestione ed induzione di deprivare il personale potere di autodeterminazione, di critica e di giudizio.

Nel caso in questione, si è accertato che la Signora che ha stipulato l’atto impugnato, era affetta da una importante e irrimediabile menomazione delle facoltà intellettive e volitive, già presenti al momento della stipulazione della compravendita. Per tale motivo è stato annullato il richiamato contratto.

La malattia mentale a carattere permanente cui è risultata affetta la Signora è stata idonea, inoltre, a invertire l’onere probatorio normalmente incombente in giudizio sul soggetto che chieda l’annullamento dell’atto negoziale. In particolare, il convenuto avrebbero dovuto dimostrare l’esistenza di un eventuale lucido intervallo, tale da ridare al soggetto l’attitudine a rendersi conto della natura e dell’importanza dell’atto, (Cass. civ. sez. II, 26 novembre 1997, n.11833), prova che – nel caso in questione – non è stata assolta.

Non coglie nel segno, altresì, la considerazione che la capacità di intendere e volere della Signora fosse stata già valutata dal Notaio.
A riguardo, si è precisato che “l’atto pubblico redatto dal notaio fa fede fino a querela di falso relativamente alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l’ha formato, alle dichiarazioni al medesimo rese ed agli altri fatti dal medesimo compiuti, ma tale efficacia probatoria non si estende anche ai giudizi valutativi che lo stesso abbia eventualmente svolto, tra i quali va compreso quello relativo al possesso, da parte di uno dei contraenti, della capacità di intendere e di volere” (v. Cass. Civ. n. 9649/2006; Cass. Civ. n. 3787/2012)

Infine, per l’annullamento di un contratto a causa di incapacità di uno dei contraenti ulteriore elemento è costituito dalla malafede dell’altro, che può risultare o dal pregiudizio che il contratto abbia, anche solo potenzialmente, potuto arrecare all’incapace o dalla natura e qualità del contratto.

 


 

Articolo 428 
Codice Civile

Atti compiuti da persona incapace d’intendere o di volere.
Gli atti compiuti da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace d’intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti, possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio all’autore [1425 ss.; 613 c.p.].
L’annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace d’intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede dell’altro contraente [1425 2].
L’azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui l’atto o il contratto è stato compiuto [1442].
Resta salva ogni diversa disposizione di legge [120, 591 n. 3, 775; 130 trans.].

 

Articolo 623 Codice Civile

Chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato d’infermità o deficienza psichica  di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da duecentosei euro a duemilasessantacinque euro.

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