Il canile comunale, l’affidamento del servizio di gestione

Il canile comunale, l’affidamento del servizio di gestione.
Se si decide per la gara pubblica, si devono rispettare i principi di imparzialità, parità di trattamento e concorrenzialità.

1. Dal canile sanitario al canile rifugio. L’excursus normativo.

Con il DPR n. 320/1954 i canili assolvevano unicamente alla funzione di canile sanitario, dove i cani trovati vaganti senza la prescritta museruola venivano sequestrati per il periodo di tre giorni.
Trascorsi i 3 giorni senza che i legittimi possessori li avevano reclamati e ritirati, i cani sequestrati dovevano essere uccisi con metodi eutanasici ovvero concessi ad istituti scientifici (per essere oggetto di sperimentazioni) o, infine, ceduti a privati che ne facevano richiesta (v. art. 85 del DPR n. 320/1954).

Nel 1991, con l’avvento della legge quadro n. 281 si è sancito il principio della tutela degli animali c.d. d’affezione e disposto che i cani vaganti ritrovati, catturati o comunque ricoverati presso le strutture comunali, non potevano più essere soppressi.

Tale legge, inoltre, ha cercato di approntare una serie di provvedimenti per combattere la problematica del randagismo e di stabilire le competenze dei vari enti pubblici presenti sul territorio.
In particolare:
(i) ai servizi veterinari delle “unità sanitarie locali” è stato affidato il compito di controllare la popolazione dei cani e dei gatti mediante la limitazione delle nascite;
(ii) alle Regioni è stato attribuito il compito di disciplinare, con propria legge, l’istituzione dell’anagrafe canina presso i Comuni o le unità sanitarie locali; nelle liste dell’anagrafe è obbligatoria l’iscrizione dei cani padronali e di quelli vaganti detenuti nelle strutture comunali. Le Regioni devono provvedere anche a determinare i criteri per il risanamento dei canili comunali e la costruzione di nuovi rifugi per i cani; dette strutture sono sottoposte a controllo da parte dei servizi veterinari delle unità sanitarie locali;
(iii) infine, ai Comuni è stato affidato il compito di risanare i canili comunali esistenti e di costruire rifugi per i cani nel rispetto di quanto sancito con Legge Regionale.

Concludendo, il cane agli inizi degli anni novanta ha acquisito il diritto di essere tutelato, ponendosi altresì la necessità del suo ricovero in adeguate strutture, con conseguenti (e onerose) questioni sia in termini economici e organizzativi, sia in termini di disagio sociale e di sofferenza animale.

2. La gestione dei canili comunali.

Le nuove strutture c.d. canili rifugio possono essere gestite direttamente dallo stesso comune o affidati in gestione a cooperative sociali, enti e associazioni protezionistiche, sotto il controllo sanitario dei servizi veterinari dell’unità sanitaria locale.

E’ questione dibattuta se la gestione del canile, che attiene allo svolgimento di un servizio pubblico locale, ancorché privo di rilevanza economica, sia o meno preordinato a soddisfare esigenze strumentali del Comune.

Da tale inquadramento ne deriva l’applicazione (o meno) dell’art. 5 l. 8 novembre 1991, n. 381 che consente agli enti pubblici, per la fornitura di beni e servizi c.d. strumentali (v., Cons. Stato, sez. VI, 29 aprile 2013 n. 2342; Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 2010 n. 2829), “anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, di stipulare convenzioni con le cooperative sociali”.
Un’interpretazione corretta della presente fattispecie, comunque, tenderebbe ad escudere l’attività di gestione di un canile comunale dal novero dei servizi c.d. strumentali all’ente stesso.

Ciò premesso nulla impedisce, però, al Comune di esternalizzare il servizio di gestione di un canile attraverso l’indizione di una gara pubbblica.

In questo caso, però, l’amministrazione, benché non obbligata da una disposizione nazionale o comunitaria all’utilizzo di sistemi di scelta del contraente mediante gara pubblica, vi abbia comunque fatto ricorso, rimane tenuta all’osservanza dei moduli propri della formazione pubblica della volontà contrattuale.

Dunque deve rispettare i principi di imparzialità, parità di trattamento e concorrenzialità, di cui la procedura di gara prescelta è l’espressione di diritto positivo.

Per tale motivo, non è consentito all’ente locale, pena l’elusione dei principi richiamati, la previsione di deroghe che si risolvano di fatto nell’ingiustificata restrizione della concorrenza mediante l’apposizione nel bando di gara della clausola di riserva in favore delle sole cooperative sociali.

Questo principio è stato recentemente affermato da una recente decisione del Consiglio di Stato, con la quale sono state accolte le ragioni di un’associazione Onlus di tutela agli animali, alla quale non era stata data la possibilità di partecipare ad un pubblico incanto, riservato per espressa disposizione della lex specialis, alle sole cooperative sociali.

Nella fattispecie de qua, inoltre, l’amministrazione comunale non si è neanche premurata di giustificare adeguatamente la propria scelta di limitare la selezione all’ambito delle sole cooperative sociali.

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